Gela. Come ultima spiaggia si era forse affidato al potere dei social, ma l’unica soluzione per salvarsi l’aveva già maturata da tempo. Un susseguirsi di post su facebook in cui cercava di comunicare quella depressione e solitudine che oramai da sin troppo tempo caratterizzavano la sua quotidianità e a cui, secondo lui, solo il suicidio poteva porre fine. “Qualcosa dentro me si sta lentamente spegnendo … mi sento dilaniato … spero passi”, “Sono tanto stanco, solo, fragile, impotente, qualcosa si è spento dentro me, non ne posso più, ho perso”, sono i post più significativi condivisi sul profilo facebook tra il 2 e 7 febbraio. Nuovamente torna a scrivere il 12 febbraio, “Barcollo ma non mollo, però sto per crollare”. Ma il post che porta la data di ieri esprime un messaggio diretto e sicuramente il più agghiacciante: “Oggi è una bellissima giornata per impiccarmi”. Un susseguirsi di post attraverso i quali aveva deciso di gridare silenziosamente il suo grande bisogno di aiuto, forse non sono stati compresi o, addirittura, sottovalutati dai tanti che in qualche modo avrebbero potuto invece tendere lui una mano di salvezza. Resta il fatto che nonostante i social riescano spesso ad influenzare positivamente le nostre decisioni, in questo caso, si è verificato proprio l’esatto contrario.
Il sostegno ricevuto non è stato, infatti, sufficiente a convincerlo che il finale scelto per sé poteva anche essere cambiato. Ieri sera, intorno alle ore 21, ha scelto di porre fine alla sua vita, a soli 40 anni, impiccandosi in una delle strutture del parco giochi della villa comunale. Come evidenziato dal pedagogista Giuseppe Raffa, oggi nei social riusciamo ad esprimere la nostra vita, i nostri propositi e, come in questo caso, persino intenzioni di suicidio. Il riscontro ottenuto dai followers si sta dimostrando alquanto determinante nella nostra quotidianità al punto tale che followers assenti o non in grado di supportarci nei momenti di difficoltà come vorremmo possono anche influire negativamente sulle nostre scelte. “Viviamo una vita tecnologica, cinica, crudele e anaffettiva – dichiara il pedagogista Giuseppe Raffa – dove non c’è più spazio per i sentimenti ed affetti. I social – continua il pedagogista – possono e devono essere anche veicoli di aiuto e di supporto psicologico verso chi soffre e silenziosamente richiede aiuto”.