Gela. Un libro stropicciato, calpestato, abbandonato, dimenticato e superato dall’uso di tablet e smartphone. Un bambino che nel 2100 scopre per la prima volta questo “strano oggetto” e se ne innamora. Il Mago di Oz diventa amico di Stefano, che si meraviglia per la bellezza di un oggetto che già oggi viene ritenuto superato ma che in realtà stupisce, incuriosisce ed emoziona. E’ questa in sintesi la fiaba “Il miracolo di un libro dimenticato” di Sandra Sammito, studentessa del conservatorio di 23 anni, secondo posto nella sezione “fiabe e storie per bambini” alla XVII edizione del Racconto nel Cassetto – Premio Città di Villaricca.
La musicista gelese ha ottenuto un prestigioso secondo premio in un concorso cui hanno partecipato oltre 2000 scrittori di racconti e fiabe e storie per bambini.
Un grande orgoglio per una giovanissima che si appresta a fine anno a pubblicare il suo primo romanzo. Ed il consiglio che dà ai suoi coetanei è quello di non accontentarsi di tablet e telefonini, ma di provare l’emozione di sfogliare e sentire l’odore unico delle pagine di un libro. L’intervista integrale nell’edizione del tg quotidiano su telegela di oggi.
IL RACCONTO NEL CASSETTO – PREMIO CITTÀ DI VILLARICCA – (FIABE E RACCONTI PER RAGAZZI)
IL MIRACOLO DI UN LIBRO DIMENTICATO
Anno 2100.
Il pianeta Terra è mutato in tutte le sue forme. Ogni edificio, ogni marciapiede e persino ogni essere vivente è stato inghiottito dalla tecnologia e dalle sue innovazioni. Le automobili sfrecciano volando accanto ai pedoni; ovunque si volga lo sguardo si vedono solo megaschermi luminosi; ovunque si tenda l’orecchio si sente solo la voce robotica e meccanica di una donna onnisciente che aggiorna sulle condizioni meteorologiche della giornata ed elenca nel dettaglio le notizie di cronaca. Nel nuovo pianeta la gente che si sposta da un luogo a un altro sembra essersi robotizzata e della pelle ha perso il colorito naturale. Tutti gli abitanti della Terra sono grigi e spenti come gli schermi dei cellulari che usano giorno e notte.
All’ultimo piano di un edificio abbandonato e in disuso, in una cittadella come tante altre, un libro impolverato e con la copertina un pochetto logora ai bordi se ne stava triste e abbandonato a osservare il mondo dal davanzale di una finestra. Nessuno più lo teneva fra le mani, nessuno più sfogliava le sue pagine che parlavano di fantasia, di fiducia e d’amore. Da anni ormai osservava da quella finestrella la gente che aveva dimenticato i libri, mentre gli apparecchi elettronici portavano loro via, giorno dopo giorno, un pezzetto d’anima. Il libro, per tal motivo, piagnucolava, a volte di malinconia, altre volte di rabbia.
«Perché sono stato dimenticato?» si chiedeva ogni giorno il piccolo libro. «Cosa ho fatto loro di male? Non sono cattivo. In fondo potrei far solo del bene». E, tra un singhiozzo e un altro, a ogni calar della notte pregava che accadesse un miracolo.
Un giorno, all’improvviso, una tormenta si scagliò sulla cittadella, la pioggia inondò le strade e un minaccioso ventaccio mulinò con cattive intenzioni tra la gente. Accadde allora un evento mai verificatosi prima: il ventaccio era talmente furente che colpì la finestrella dietro cui il libro riposava, e la spalancò. Il libro si spaventò e urlò al ventaccio di girare i tacchi, ma questo ululò sempre più forte e trascinò il piccolo libro fuori dalla finestra. Il libro allora cadde e cadde ancora, colpì il marciapiede e iniziò a bagnarsi e a sporcarsi di pioggia e fango. Urlò aiuto, ma nessuno dei passanti si fermò a raccoglierlo. Tutti lo ignorarono, lo calpestarono, lo strattonarono e la sua copertina iniziò a rovinarsi.
«È la fine per me» piagnucolò il libro, addolorato.
Trascorsa la notte, il piccolo libro fu in un pessimo stato, le sue pagine erano sudicie e sofferenti di dolore. Quando, però, sorse il mattino e la gente ritornò a camminare per le strade, il libro tentò ancora una volta di urlare aiuto e stavolta, per sua fortuna, riuscì ad attirare l’attenzione di un solo individuo. Un bambino infatti si avvicinò a esso e, per via dell’aspetto malconcio, lo scrutò non lasciandosi vincere dalla brama di raccoglierlo.
«Ti prego, dammi una mano. Sono sporco e sofferente. Puoi raccogliermi per favore?» domandò il libro, con voce strappata.
Il bambino si avvicinò di più e, con curiosità, chiese: «Cosa sei tu?»
«Sono un libro. Mi chiamo Il Mago di Oz.»
Il bambino ghignò coprendosi la bocca per non sembrare sgarbato. «Ah, che razza di nome è? E poi cos’è un libro?»
«Il libro è un insieme di fogli e, ogni libro, custodisce una storia diversa» rispose il piccolo libro. «Com’è possibile che non sai cosa sia! A scuola non usate forse i libri e i quaderni?»
«Usiamo i tablet e i computer. Dicono che siano più comodi.»
Il libro ribollì di rabbia. «Argh! Più comodi un cornicchiòlo. Non sai cosa dici! Il libro è reale, lo puoi toccare, lo puoi sfogliare, lo puoi annusare. Dimmi allora, chi sceglieresti tra una bella bambina che gioca nel parco e una bella bambina che si muove dentro a uno schermo?»
«Credo che sceglierei la prima, altrimenti con chi potrei giocare?»
«E dimmi, cosa sceglieresti tra un vassoio fumante di dolci appena sfornati e una riproduzione fittizia di essi dentro a uno schermo?»
«Credo che sceglierei la prima, altrimenti come potrei sfamarmi?» rispose nuovamente il bambino.
«Dunque perché non scegliere un libro in carne e ossa, da poter toccare e accarezzare, invece di una scialba sequenza di parole dentro a uno schermo? Ma tu non hai colpe, bel bambino» continuò il libro, sedando la propria rabbia, «sei nato in un mondo in cui i libri sono stati dimenticati».
Il bambino sfoderò un sorriso triste e decise così di raccogliere il piccolo libro. Pulì la copertina con la manica della giacca, notando subitamente il titolo su essa.
«Allora è vero che ti chiami Il Mago di Oz!» esclamò, entusiasta. «Piacere, io mi chiamo Stefano».
Il libro, trepidante di gioia per essere stato raccolto, propose allora al bambino: «Perché non mi apri? Sono sicuro che mi troverai interessante».
E così Stefano accolse la proposta e iniziò a leggere, divorando una pagina dopo l’altra e, quando terminò, la sua pelle si colorò di rosa vivace.
«Sei bellissimo, Mago di Oz» si sincerò il bambino, eccitato. «Ho adorato ogni personaggio, mi è sembrato di vivere dentro a un sogno. Ci sono altri Mago di Oz?»
Il libro rise. «Oh, no. Esisto solo io con questo nome, ma puoi trovare tanti altri libri se ti rechi nel posto giusto. Esistono ancora le biblioteche?»
«Nelle biblioteche ci sono i libri? Nessuno ha mai saputo spiegarmelo, né ne ho mai visitata una. Ora mi è chiaro» disse il bambino, pensieroso. «C’è una biblioteca qui, è solo che mi ha sempre messo paura perché è tetra. Non ci va mai nessuno.»
«Allora dove andate quando avete bisogno di fare una ricerca per la scuola?» domandò il libro, dubbioso.
«Non andiamo da nessuna parte, per fare le ricerche…»
«…usiamo i tablet e i computer» continuò il libro sornione, interrompendolo. «Lo credo bene che non ci vada mai nessuno! Andiamoci insieme. Ti farò compagnia».
Stefano e il libro allora si avviarono verso la biblioteca e giunti lì, davanti ai loro occhi, si stagliò un edificio consunto, abbandonato alle intemperie del tempo. Le pareti erano coperte di crepe, il colore stemperato e la porta dava l’impressione di essere talmente fragile da poter sbriciolarsi con un sol tocco.
«Quella è la biblioteca» disse il bambino, indicandola al libro. Questo si atterrì e sussurrò: «Per tutte le virgolette. È orribile!»
Nonostante l’edificio fosse poco affidabile, Stefano si addentrò col suo libro nella semioscurità del luogo. Il bambino scrutò l’ambiente con occhi curiosi, ma il libro tremava poiché credette di trovarsi nel cimitero dei libri. Poco dopo l’entrata, il bambino fu accolto freddamente da un uomo panzone e dai lunghi baffi asimmetrici che dava l’impressione di essere il bibliotecario. Anch’egli perse il suo colore e ciò che ne rimase fu solo un ciuffo castano di capelli.
«Un altro mocciosetto che rompe le scatole!» grugnì l’uomo grasso. «Fuori di qui, non c’è niente da vedere.»
«Mi scusi se la disturbo. Sono venuto qui per leggere un libro» disse il bambino, un po’ intimorito dall’immagine dell’uomo.
Il bibliotecario sgranò gli occhi, incredulo. «Cosa odono le mie orecchie? Cosa vedono i miei occhi? Un bambino che vuol leggere un libro?»
Detto ciò l’uomo iniziò a ridere, sputacchiando di qua e di là, e il bambino riuscì magistralmente a scansare ogni scaracchio.
«Non dirai sul serio, vero?» chiese ancora una volta il bibliotecario.
Il bambino annuì ingenuamente, quindi l’uomo grasso dovette farsene una ragione. Incrociò le braccia e, scrutando sibillino il giovane fanciullo, gli disse: «I libri per ragazzi sono in fondo a sinistra».
Il bambino lo ringraziò e trotterellò verso la sua meta. Giunto dinanzi alla sezione per ragazzi i suoi occhi brillarono di meraviglia: scaffali pieni di libri piccoli, grandi, sottili, robusti e di tanti colori.
«Oh, quanti libri!» esclamò, emozionato. «Non so quale scegliere.»
Il libro sogghignò. «Scoprirai presto che non sei tu a scegliere, ma è il libro ad attirarti a sé. Proprio come ho fatto io.»
«È proprio vero!»
«Mi raccomando: non lasciarti ingannare dalla copertina!»
Il bambino scelse il primo libro, lo portò a casa e lo lesse per tutto il giorno. Al termine della lettura le sue labbra si tinsero di rosso. Il giorno seguente tornò in biblioteca e prese in prestito un altro libro, lo lesse con entusiasmo e al termine della lettura i suoi occhi si colorarono di cobalto. E così via i giorni seguenti, finché divenne smagliante come un fiore sbocciato in primavera.
Ben presto, però, i genitori di Stefano si accorsero del cambiamento del figlio, il quale ogni giorno saltellava felice, diventava più gentile e altruista e cantava, ballava, recitava come non lo aveva mai fatto prima di allora. Così il padre, un uomo d’affari talmente incolore da far paura, prese da parte il figlio e gli chiese: «Figliolo, come mai da un giorno all’altro sei diventato vivace e continui a rallegrarti come se ricevessi un computer nuovo ogni ora?»
E il bambino rispose: «Perché ho scoperto i libri e, da quando pratico la lettura, la notte non faccio più brutti sogni. Anzi, sogno castelli di nuvole, scale d’arcobaleno, cavalli al galoppo e delfini ballerini; nei miei sogni a volte sono uno stregone, altre volte cavalco un drago e altre volte ancora sono un domatore di leoni; quando mi sveglio mi vien difficile essere triste o annoiato, perché non ho motivo di esserlo.»
«I libri?» domandò ancora il padre, stupito. «Credevo non esistessero più… Per l’amor del cielo, Stefano, non perder tempo con queste assurdità.»
Il libro “Il mago di Oz”, conservato dentro lo zaino di Stefano, grugnì e brontolò: «Che razza di babbeo! Come osi offendere la nostra razza?»
Fortunatamente solo Stefano riuscì a udire la rabbia del libro e, sebbene fosse rattristito dalle parole del padre, non perse tempo a difendere la sua scoperta. «Ti sbagli, papà. I libri non sono assurdità, al contrario sono i motori che mettono in moto la nostra mente.»
«La scuola è il motore di cui parli, non queste storielle inventate, prive di logica. Sono un mucchio di sciocchezze».
Stefano non discusse ancora, ma non si diede per vinto. Ecco perché la notte stessa s’intrufolò silenziosamente nella camera dei genitori, poggiò un libro e un biglietto sul comodino del padre e tornò a letto. Sul biglietto scrisse:
«Caro papà, questo libro parla di un uomo d’affari, proprio come te. Ti prego di leggerlo e, se quando finirai crederai ancora che siano sciocchezze, smetterò di leggere. Te lo prometto».
Il giorno seguente, non appena Stefano tornò a casa da scuola, trovò suo padre seduto sulla poltrona dello studio e vide che, al posto del tablet, teneva in mano il libro che gli aveva donato. Quando il padre si accorse del figlio sul ciglio della porta, gli fece segno di entrare, alzò lo sguardo e Stefano sussultò di meraviglia, poiché gli occhi del padre non erano più due buchi neri e inespressivi, ma azzurri e luminosi come il cielo.
«Papà, i tuoi occhi…»
«Figliolo» lo interruppe il padre, alzandosi dalla poltrona e fissando il figlio. «Voglio che tu riporti questo libro da dove l’hai preso.»
Stefano s’incupì e capì di non essere riuscito a far cambiare idea al padre, ma prima che potesse afferrare il libro, il padre continuò: «Va’ dove l’hai preso e… portamene un altro».
Il bambino non riuscì a credere alle sue orecchie, saltellò di gioia e urlò di esuberanza. Abbracciò e baciò il padre, il quale lo ringraziò e infine gli promise che gli avrebbe comprato tutti i libri che avrebbe desiderato leggere.
Un giorno, mentre Stefano leggeva “Pinocchio” di Collodi, senza rendersene conto iniziò a piangere. Il libro Mago di Oz, che se ne stava sempre accanto al bambino, gli chiese: «Perché piangi ora?»
«Mi sono commosso.»
«Perché?»
«Perché Pinocchio, prima un burattino, adesso ha realizzato il suo sogno ed è diventato un bambino vero» rispose Stefano, asciugandosi il moccio dal naso.
Il libro sogghignò. «È vero, ti ha commosso. Credo di immaginare il vero perché. Sai qual è?»
Il bambino scosse la testa.
«Ti sei commosso perché in fondo anche tu, come Pinocchio, stai abbandonando il burattino dentro di te. Stai crescendo. Stai maturando i pensieri.»
Il bambino sorrise, con gli occhi lucidi e con il nasino ancora umido. «Sai? Ho deciso cosa voglio fare da grande.»
«Vuoi realizzare burattini?»
Il bambino rise. «Ah ah ah! Mi piacerebbe, ma no, non è questo che voglio fare da grande. Da grande voglio fare lo scrittore, voglio condurre gli altri nel mio mondo e voglio dipingere di un altro colore questa umanità.»
«Se tu lo vorrai» gli disse il libro, «da grande potrai diventare tutto quello che vuoi, ma sii sempre te stesso e lasciati guidare dalla fantasia. Non smettere di sognare. Me lo prometti?»
«Te lo prometto» gli disse Stefano, ringraziando il suo caro libro.
Oggi è il 2130. Scrissi questa storia nella speranza che in ogni parte del mondo i bambini sapranno che non esiste frontiera se durante il cammino incontreranno un libro. In esso, quando si sentiranno soli, troveranno un amico pronto ad aiutarli.
Scrissi questa storia sulla scrivania della mia biblioteca. Attorno a me si estendevano solo luce, armonia, pace e tanto colore, senza più tracce di ombre ed espressioni spente. I bambini leggevano felici sulle poltrone: “Peter Pan”, “Il giardino segreto”, “Alice nel paese delle meraviglie”, “La fabbrica di cioccolato”… Ognuno di loro aveva trovato un amico che avrebbe portato nel cuore per il resto della sua vita.
Era meraviglioso ed emozionante assistere, giorno dopo giorno, al miracolo che si stava compiendo. E, mentre stringevo al petto un libro, gli sussurrai: «Grazie amico mio. Nulla di tutto ciò sarebbe accaduto senza di te».
Il libro, una copia perfetta de “Il Mago di Oz”, sorrise di gioia e si rasserenò tra le braccia calorose del suo caro e fedele lettore.