Gela. La tensione sale davanti ai tornelli del petrolchimico Eni. E adesso il detto “mors tua vita mea” rischia di provocare non solo profonde spaccature tra i lavoratori ma anche episodi di violenza. La corda è tesa, tesissima.
Basta parlare con gli operai che stazionano davanti l’ingresso della Raffineria per rendersene conto. L’esasperazione ha raggiunto i livelli di guardia ma quel che è più grave (e forse non se rendono conto neanche i sindacati) è che sta iniziando la guerra dei disperati. Lavoratori contro lavoratori.
Stamattina l’ennesimo blocco. Operai contro operai, lavoratori contro lavoratori, metalmeccanici contro edili. Si è sfiorata la lite. C’era anche la polizia. Sono volate accuse e parole grosse, operai che rischiano di picchiarsi per garantirsi un pezzo di lavoro. I metalmeccanici accusano gli edili di tradimento. Ma anche chi vuole entrare in fabbrica non solidarizzando va analizzato. La gente non ce la fa più neanche a scioperare e se vengono garantiti anche soli 2-3 mesi di lavoro, che ben vengano. Che tra diretto e indotto non ci sia stata mai compattezza è noto. Che vi siano divisioni tra gli operai dell’indotto invece è pericoloso. Se si riesce a spaccare i lavoratori allora chi ne trae beneficio è solo l’azienda petrolchimica, che si assicura le prestazioni strettamente necessarie, ignorando chi sta affogando. Mors tua vita mea, ma chi oggi ha qualche mese di respiro non è detto che domani (non ce lo auguriamo) non possa trovarsi nelle stesse condizioni di chi oggi sciopera. Ed allora chi subdolamente sta riuscendo a dividere gli operai sta raggiungendo il suo obiettivo. Frazionare significa parcellizzare la protesta, indebolire il fronte dei lavoratori, che diventano più facili da colpire e isolare. E illudersi che il 21 ottobre tutto sarà risolto sarebbe un grave errore.