L’asse mafioso tra Gela e Niscemi, Barberi, Musto e Rizzo respingono le accuse anche in appello

 
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Gela. Respingono le accuse, ad iniziare da quelle relative alla presunta esistenza di un rinato asse mafioso tra le famiglie di Gela e quelle di cosa nostra niscemese.

Il blitz “Fenice”. Ad esporre le rispettive conclusioni davanti ai giudici della Corte d’appello di Caltanissetta, sono stati i difensori di Alessandro Barberi, Alberto Musto e Fabrizio Rizzo, arrestati al termine del blitz antimafia “Fenice”. Sono già stati condannati in primo grado dal gup del tribunale di Caltanissetta. La procura generale, anche in appello, ha chiesto un verdetto di condanna. Venti anni di reclusione per Alessandro Barberi, in continuazione con quella già definita da una precedente sentenza, quattordici anni per Alberto Musto e dieci anni per Fabrizio Rizzo. Per le difese, però, non ci sarebbero certezze effettive circa il contenuto delle intercettazioni utilizzate nel corso delle indagini. Tra i punti deboli messi in luce dai legali Flavio Sinatra, Francesco Spataro e Antonio Impellizzeri, il fatto che le indagini presero il via dalle dichiarazioni di Roberto Di Stefano, per alcuni mesi collaboratore di giustizia e, poi, arrestato a conclusione del blitz “Fabula” con l’accusa di essere inserito nel clan Rinzivillo. Dichiarazioni, quindi, ritenute poco attendibili. Fra le contestazioni mosse ai tre imputati, anche quella legata alle pressioni subite dai fratelli Lionti, imprenditori niscemesi, che si sono costituiti parte civile così come l’associazione antiracket “Gaetano Giordano”, rappresentata in aula dall’avvocato Giuseppe Panebianco. Il verdetto, a questo punto, dovrebbe arrivare al termine della prossima udienza, fissata per il 19 luglio.

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