Gela. Condannato a tredici anni di reclusione per aver partecipato all’organizzazione e alla successiva esecuzione di un agguato
che avrebbe dovuto portare alla morte di Renato Mauro, ex dirigente a Palazzo di Città.
Condanna ridotta in appello. E’ arrivato il verdetto di secondo grado per il quarantaquattrenne Giovanni Di Giacomo. E’ finito sotto processo insieme all’ex dipendente comunale Salvatore Di Giacomo proprio con l’accusa di aver attentato alla vita del funzionario comunale. Difeso dall’avvocato Danilo Tipo, in primo grado l’imputato era stato condannato a quindici anni di reclusione. In sostanza, il giudizio di secondo grado gli ha permesso di ottenere una riduzione di due anni, così come stabilito dai magistrati della Corte d’appello di Caltanissetta che hanno appena pronunciato il verdetto. Giovanni e Salvatore Di Giacomo vennero arrestati cinque anni fa a conclusione di un blitz organizzato dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia nissena ed eseguito dai poliziotti della mobile. Renato Mauro, in base alla ricostruzione condotta dagli inquirenti, andava ucciso perché aveva iniziato un’opera di riorganizzazione interna tra i settori tecnici del Comune, cercando soprattutto di fare luce sui tanti affidamenti d’appalti e lavori in somma urgenza. Un sistema, quello delle somme urgenze, che invece sarebbe stato controllato per lungo tempo da Salvatore Di Giacomo con l’obiettivo di agevolare soprattutto imprese vicine dalla stidda locale.
L’agguato in via Crispi. I due killer entrati in azione in via Crispi nel maggio del 1992, però, non completarono la missione di morte. Mauro venne colpito solo alla mandibola da un proiettile calibro 22. L’arma utilizzata dai killer si inceppò e i due si diedero alla fuga. L’avvocato Tipo, anche davanti ai giudici d’appello, ha comunque contestato soprattutto la fondatezza delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia che indicavano i due Di Giacomo come organizzatori dell’intero piano di morte. Giuseppe Di Giacomo, un giovane che avrebbe preso parte all’azione di fuoco, confessò le sue responsabilità ma subito dopo cercò di riconquistare la fiducia della sua famiglia, allontanandosi dalla protezione delle forze dell’ordine. Le ammissioni gli costarono care, venne ucciso subito dopo e trovato cadavere nella zona di Manfria. Il giudizio d’appello, invece, è stato sospeso per il settantunenne Salvatore Di Giacomo, già condannato a quindici anni di reclusione dai giudici di primo grado. I magistrati nisseni hanno accolto le richieste formulate dal suo legale di fiducia, l’avvocato Flavio Sinatra. Una dettagliata perizia medica è servita a mettere in luce le gravi condizioni di salute dell’imputato che, di conseguenza, non è in grado di partecipare al dibattimento.
Il Comune parte civile. Sia in primo che in secondo grado, l’ente comunale si è costituito parte civile con l’avvocato Alfredo D’Aparo che ha chiesto la conferma della condanna nei confronti di Giovanni Di Giacomo.
L’intervento di Renato Mauro. E’ stata data notizia, da parte di questo giornale, della sentenza dei Giudici della Corte di appello di Caltanissetta sul tentato omicidio a mio danno avvenuto il 19 maggio 1992. Si riporta alla fine dell’articolo che il Comune di Gela si è costituito parte civile. E’ solo lo scrivente che si è costituito parte civile sia in primo che in secondo grado e che ha inoltrato istanza nel 2010 di riapertura delle indagini, avendo casualmente saputo che la stessa era stata stranamente archiviata. Un grazie debbo soltanto ai magistrati di Caltanissetta (…soprattutto al Dott.Condorelli) ed alla DDA di Caltanissetta che hanno condotto le indagini con molta determinazione riscontrando quanto era necessario per assicurare i colpevoli alla giustizia. La sentenza della Corte di Appello, peraltro, convalida la ricostruzione dei fatti sancita dal Tribunale di Gela. Il tempo come suol dirsi è galantuomo e si riconosce che l’unico dipendente pubblico di Gela a lottare la mafia a viso aperto, senza temere le gravissime conseguenze poi purtroppo avvenute, è stato lo scrivente con una pallottola conficcatasi a pochi millimetri sotto la tempia. Il ricordo di quel giorno è ancora presente e molti vennero a trovarmi all’Ospedale di Gela con convinto senso di solidarietà temendo quanto era successo. Tra questi anche Gaetano Giordano che intravidi nel corridoio dell’ospedale,quando si apri per qualche attimo la porta della stanza in cui era stato ricoverato; non ebbi modo di ringraziarlo perché lui poi,qualche mese dopo,fu più sfortunato di me per aver perso la vita in una analoga circostanza. Le sentenze dimostrano che il Comune di Gela fino al 1992 era in mano alla mafia e che ognuno era ossequioso delle spavalderie, delle minacce e delle concrete violenze a cui impunemente spesse volte tali soggetti, come Salvatore Di Giacomo, si rendevano protagonisti. Le sentenze di Gela e Caltanissetta danno atto, comunque, di una verità dell’attività criminale fino al 1992 nel Comune di Gela, laddove le imprese sborsavano ai clan criminali il 50% dell’importo dell’appalto, quando questi lavori venivano effettuati realmente. E’ lecito pensare che ciò si sia protratto ancora per lungo tempo e cioè dal 1992 al 2003 anno in cui va in pensione il mandante del mio tentato omicidio Salvatore Di Giacomo. Questa è l’inconfutabile verità, storica e processuale, almeno fino al 1992. Non è mio compito andare oltre, il mio contributo l’ho dato, la mia parte l’ho già fatta con grande rischio per la mia vita. Tanti ancora, però, dovranno rispondere alla comunità tutta, per proprie responsabilità politiche, tecniche e amministrative affinché si possa correttamente riscrivere la storia politico/amministrativa di Gela degli ultimi 20 anni.
Renato Mauro