Gela. “Non sono io il mafioso, sono i Fontana i mafiosi, che adesso mi accusano e fanno le vittime. La mafia mi fa schifo. Mi hanno ucciso tre fratelli”. Davide Trubia, tra gli imputati del dibattimento scaturito dall’inchiesta “Redivivi”, ha reso dichiarazioni spontanee, in video collegamento. Davanti al collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore, ha ribadito di non aver mai imposto il monopolio della raccolta della plastica tra le aree rurali della città. “I Fontana hanno ucciso mio fratello Massimo, perché non volevano che mi occupassi della raccolta della plastica – ha proseguito – dopo che sono uscito dal carcere, ho ripreso a lavorare con l’allevamento e poi con la plastica, perché avevo la licenza. Ho dovuto pagare quello che mi hanno chiesto i Fontana, che si sono sempre circondati di persone pericolose. Nonostante questo, l’auto di mia moglie è stata danneggiata a colpi di pistola”. Trubia, quindi, ha respinto le accuse mosse dai pm della Dda di Caltanissetta. Stando agli investigatori, il presunto gruppo Trubia avrebbe imposto il monopolio della plastica in diverse aree rurali della città, minacciando e intimidendo non solo altri operatori del settore ma anche i titolari di diverse aziende agricole. “Non ho mai minacciato aziende o la famiglia Fontana”, ha proseguito.
Il sistema delle guardianie. Accuse che sono state respinte anche da Ruggiero Biundo, che invece si sarebbe occupato della presunta messa a posto attraverso il servizio di guardiania. “Ho sempre contattato polizia e carabinieri quando mi accorgevo che qualcosa non andava – ha detto rilasciando a sua volta dichiarazioni spontanee – le mie denunce sono state sempre presentate e ci sono le prove. Estorsioni? Mi davano solo un regalo in denaro per il servizio che svolgevo”. A processo, ci sono anche Rosario Trubia, Luca Trubia, Simone Trubia, Rosario Caruso, il ventiseienne Rosario Trubia e Vincenzo Trubia. Tre imprenditori agricoli, chiamati in aula a testimoniare, hanno escluso di essere stati minacciati dai Trubia. “Chiedevano se c’era la possibilità di caricare la plastica dismessa”, hanno spiegato. Il pm Luigi Leghissa, però, ha chiesto la trasmissione degli atti alla procura per uno dei testimoni, che chiamato a rispondere in merito alla vicenda delle guardianie, avrebbe reso dichiarazioni ritenute false. I testimoni hanno risposto alle domande dei legali di difesa, gli avvocati Flavio Sinatra, Carmelo Tuccio, Nicoletta Cauchi e Raffaela Nastasi. Parti civili sono l’associazione antiracket “Gaetano Giordano”, con gli avvocati Giuseppe Panebianco e Laura Cannizzaro, il Comune, rappresentato dall’avvocato Anna Gambino, l’associazione Codici e quattro operatori che sarebbero stati vittime delle presunte imposizioni dei Trubia, con l’avvocato Giovanni Bruscia.