Gela. La residenza sanitaria assistita di Caposoprano, secondo i magistrati impegnati in
una complessa indagine, sembra essere una vera scatola d’oro: assemblata, però, per il tramite di favori politici e pressioni portate avanti anche tra le stanze di Palazzo di Città.
La procedura per l’accreditamento regionale della struttura, infatti, sarebbe stata incastonata tra una serie di strani regali e allettanti promesse.
Così, spunta la cesta di vini pregiati fatta recapitare ad un importante funzionario in servizio per conto dell’Asp che, solo pochi giorni prima, avrebbe redatto e firmato una relazione, volutamente artefatta, per agevolare l’iter dell’accreditamento milionario con la regione siciliana. Non si sarebbero trascurate neanche le promesse di lavoro come quella fatta recapitare, per il tramite di un attuale deputato regionale, ad un’altra funzionaria Asp che, a sua volta, avrebbe firmato una relazione aggiustata dietro la promessa dell’inserimento del figlio in enti di formazione isolani o, in alternativa, nell’organico della stessa Rsa Caposoprano.
Ma le mire degli indagati sarebbero state ancora più ambiziose. Così, sarebbero entrati in scena sia un alto dirigente della regione siciliana, impegnato a coordinare gli uffici dell’assessorato alla sanità, che un ex responsabile dell’Asp locale. Avrebbero favorito il sì all’accreditamento della struttura di Caposoprano dietro intercessione di un deputato regionale ancora in carica e di un suo ex collega dello stesso partito.
In scena, secondo i magistrati, sarebbe entrato anche il primo cittadino di un comune limitrofo, pronto ad intercedere con alti funzionari Asp in cambio di eventuali assunzioni tra i corridoi della residenza sanitaria. Senza dimenticare l’appoggio in vista delle consultazioni europee tenutesi la scorsa primavera. Tutto, pur di accedere all’accreditamento regionale che, solo per una parte dei posti letto assicurati dalla Rsa, avrebbe fruttato nell’anno in corso qualcosa come 1 milione di euro.
Ma come si è arrivati a questo punto? Secondo gli inquirenti, attraverso una serie di atti gestionali del tutto fuori legge. A partire dal rilascio dell’autorizzazione edilizia, datata dicembre 2009, necessaria all’abbattimento delle barriere architettoniche dell’immobile di Caposoprano e l’inserimento di un ascensore. Peccato, però, che una parte della struttura sarebbe risultata non in regola con la necessaria sanatoria edilizia.
A favorire il rilascio, nonostante tutto, sarebbero stati due importanti funzionari comunali, al tempo coordinatori del settore edilizia. In questo modo, il risparmio per le tasche di un gruppo d’indagati sarebbe ammontato a circa 280 mila euro: tanto avrebbero dovuto pagare per l’eventuale avvio della sanatoria edilizia destinata a mettere in regola l’abuso edilizio. Stesso copione per l’emissione del certificato di agibilità dell’immobile.
In questo caso, addirittura, uno degli indagati, facendo leva sulla sua posizione di vertice in municipio, avrebbe imposto la firma ad un dirigente contrario al rilascio.
Si sarebbe giunti alla concessione di un cambio di destinazione d’uso, avallato da importanti funzionari del municipio, nonostante la consapevolezza di trovarsi davanti ad un immobile non in regola neanche con la procedura di condono edilizio.
Abusiva, quindi, ma con tanto di concessione edilizia, certificato di agibilità e cambio di destinazione d’uso firmati dagli stessi indagati. L’unico dirigente che scelse di resistere alle indebite pressioni si trovò davanti alla minaccia di subire un procedimento disciplinare qualora non avesse risposto positivamente alle richieste di quella che i magistrati sembrano disegnare come una “cricca” di burocrati e colletti bianchi. Soldi regionali, favori, politica e tanto altro. L’indagine, coordinata dai magistrati della procura, e condotta dagli agenti di polizia del commissariato e dai militari della guardia di finanza, prosegue dopo il blitz all’interno della residenza di Caposoprano, di Palazzo di Città e degli uffici locali dell’Asp.