Incidente all’impianto imbottigliamento, condanne operatori e medico: “Risarcire lavoratore”

 
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Gela. Sei anni fa, un operatore dell’impianto di imbottigliamento del sito locale di Eni rimase ferito, durante attività di servizio. Riportò la lacerazione del retto femorale di una coscia, con 270 giorni di prognosi e il riconoscimento di una percentuale di invalidità. Fatti che oggi hanno portato il giudice Miriam D’Amore ad emettere cinque pronunce di condanna. E’ stata disposta la multa da 1.200 euro ciascuno per Giuseppe Scifo, Nicola La Cognata, Rocco Mendola e Antonio Damaggio. Erano tutti operatori dell’impianto, per gli inquirenti con funzioni anche di controllo. La multa da 500 euro, solo per un capo di imputazione, è stata decisa per il medico Maria Rosa Martire. In base alle contestazioni, omise di dare celere comunicazione dell’infortunio. Era collocata nella struttura interna dello stabilimento di contrada Piana del Signore. Difesa dall’avvocato Nicoletta Cauchi, è stata invece assolta “per non aver commesso il fatto” dall’altra imputazione che le veniva mossa, legata a presunte responsabilità nelle conseguenze poi riportate dal lavoratore. Il ferito si è costituito parte civile nel procedimento, assistito dal legale Rocco Guarnaccia. L’istruttoria è stata lunga e complessa. Due procedimenti sono stati riuniti ed importante è stato l’apporto delle perizie tecniche. Come ribadito nella requisitoria dal pm Gaetano Scuderi, l’incidente si verificò perché il macchinario sul quale stava operando il ferito non era sicuro. “Erano state rimosse le barriere protettive e non era sottoposto a manutenzione”, ha spiegato il magistrato. Ha concluso ribadendo che quanto accadde, era comunque “prevedibile” e il lavoratore non si sarebbe dovuto trovare in quell’area. Il legale di parte civile ha fatto riferimento a procedure successive all’infortunio indicate come anomale. Il lavoratore venne trasferito anche in una clinica privata per condurre ulteriori accertamenti mentre il quadro clinico rischiava di aggravarsi ancora di più. Per il legale, il sospetto è che si volesse minimizzare l’infortunio riportato dall’operatore. Ha confermato le gravi conseguenze a causa dell’accaduto. Una ricostruzione che le difese di tutti gli imputati hanno escluso. Anche rispetto alle condizioni del macchinario hanno riferito che in realtà non poneva problemi di sicurezza. I legali degli operatori dell’impianto, tutti dipendenti Eni, hanno insistito sul fatto che il lavoratore ferito abbia agito senza osservare le prescrizioni previste per muoversi nell’impianto e intervenire sul macchinario. Gli imputati hanno escluso di aver avuto mansioni di controllo e di supervisione. Mendola, che oggi ha rilasciato dichiarazioni spontanee, ha spiegato di non aver saputo nulla dell’incidente, dato che in quel periodo si trovava in ferie.

Il dottor Martire, invece, ha dichiarato di aver agito secondo i protocolli, facendo tutti gli accertamenti del caso non appena il ferito arrivò nell’infermeria interna alla fabbrica. “Non era una situazione grave”, ha concluso. Nel dispositivo letto in aula dal giudice D’Amore, si riconosce il diritto al risarcimento dei danni patiti dal dipendente ferito, da definire in sede civile, e una provvisionale in denaro che dovrà essere corrisposta dagli operatori condannati e dalla società Raffineria di Gela, responsabile civile nel giudizio. Le motivazioni verranno depositate nel termine di trenta giorni. Gli operatori Eni sono difesi dai legali Gualtiero Cataldo e Carlo Autru Ryolo.

1 commento

  1. “Normalmente ” innquesti casi viste le gravi omissioni del rispetto delle norme di sicurezza e la manomissione dei sistemi di sicurezza sulle apparecchiature, il direttore/amministratore della società è il primo che dovrebbe essere indagato in attesa di defi ire le responsabilità di operatori e responsabili di manutenzione.

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