Gela. Per la procura generale, le condanne di primo grado vanno confermate. La richiesta è stata inoltrata questa mattina, in apertura del giudizio di appello nei confronti del maresciallo dei carabinieri Giovanni Primo e dell’esercente Giuseppe Catania. I due imputati vennero coinvolti in un’indagine, tutta concentrata sul ruolo che sarebbe stato assunto dal militare, che nel reparto territoriale di via Venezia ha anche ricoperto funzioni di comando. In primo grado, davanti al collegio penale del tribunale di Gela, è caduta l’accusa più pesante, quella di concorso esterno in associazione mafiosa. I giudici gelesi, nelle motivazioni, hanno escluso che Primo abbia avuto contatti con il gruppo Alfieri, fino a favorirlo. Il maresciallo è stato comunque giudicato colpevole dei reati di corruzione, concussione e falsa testimonianza. Gli è stata imposta la condanna a quattro anni e sei mesi di reclusione. Un anno e quattro mesi, invece, per Catania, che è accusato di aver sfruttato una falsa testimonianza, appositamente predisposta per avere un esito favorevole in una causa di lavoro, attivata da un ex dipendente. Alle richieste della procura generale si sono associate le parti civili. Gli avvocati Davide Limoncello (nell’interesse della dipendente danneggiata dalla falsa testimonianza) e Giuseppe Laspina, in rappresentanza del Ministero dell’interno, hanno ribadito la fondatezza di tutti gli elementi di accusa, che hanno portato alle condanne di primo grado. I legali di Catania, gli avvocati Maurizio Cannizzo e Antonio Gagliano, hanno invece spinto sulla necessità di rivedere la decisione di primo grado, escludendo che l’esercente abbia mai fatto affidamento su false testimonianze. La difesa di Primo, sostenuta dall’avvocato Flavio Sinatra, dovrebbe esporre le proprie conclusioni, dopo il ricorso presentato, durante l’udienza della prossima settimana.
L’inchiesta, condotta dai pm della Dda di Caltanissetta, fu molto più estesa, coinvolgendo anche altri carabinieri. In primo grado, sono però arrivate nove assoluzioni.