Gela. L’unico riferimento ai Luca l’ha fatto ricordando che ad inizio degli anni ottanta fu detenuto in Germania “insieme ad Emanuele Luca” ma per reati che non riguardavano organizzazioni criminali. “Dopo che uscii dal carcere – ha detto il collaboratore di giustizia Crocifisso Smorta – non ebbi problemi con loro, i rapporti erano buoni”. Smorta, già ai vertici del gruppo di Cosa nostra locale, è stato sentito davanti al collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Fabrizio Giannola e Serena Berenato). Ha ricordato i suoi trascorsi sottolineando che gran parte delle rivendite di auto della città erano sottoposte ad estorsione. Ha ricostruito l’affare della droga gestito da Cosa nostra. “Le forniture andavamo a prenderle in Liguria, dove c’erano Morso e Monachella – ha continuato – in città gli stupefacenti arrivavano nei doppifondi di auto che trovavamo già pronte in Liguria. Poi, scaricavamo in un autolavaggio che in quel periodo era mio”. Ha ricordato della richiesta di denaro avanzata ad un imprenditore edile locale. “Gli chiesi ventimila euro per avviare un’attività”, ha spiegato. Ha riferito di un unico viaggio fatto per la droga. “Normalmente, le trasferte le facevano i ragazzi dello Chantilly”, ha precisato. Ad un certo punto, nel tentativo di superare le tensioni, ci sarebbe stato un patto tra Cosa nostra e stidda. “Avevamo delle liste di attività sottoposte ad estorsione – ha aggiunto – ognuno copriva la propria. I soldi poi venivano messi in comune e divisi al cinquanta per cento”. Le difese degli imputati hanno insistito sull’estorsione all’imprenditore edile. Sono a giudizio Salvatore Luca, Rocco Luca, Francesco Luca, Francesco Gallo, Concetta Lo Nigro, Emanuela Lo Nigro, Maria Assunta Luca, oltre ai due poliziotti Giovanni Giudice e Giovanni Arrogante (accusati di aver favorito gli imprenditori sono difesi dai legali Giacomo Ventura, Michele Ambra, Emilio Arrogante e Marina Giudice). In videocollegamento è stato sentito un altro collaboratore di giustizia, Francesco Vella. Così come Smorta fu alla testa del gruppo di Cosa nostra. “Non ricordo di un’ordinanza contro Smorta per l’estorsione a Franco Luca – ha riferito – Smorta purtroppo aveva il vizio di rubare i soldi. Lo aveva già fatto in passato. Andava dagli imprenditori a chiedere prestiti. Tutto questo creava problemi. Spesso mancavano soldi dalla cassa comune. Ad un certo punto, pensammo di risolvere la situazione, eliminandolo”.
Già nel corso della precedente udienza, Rosario Vizzini, a sua volta collaboratore ed ex capo di Cosa nostra gelese nel varesotto, aveva del tutto escluso un coinvolgimento di Francesco Luca e degli altri imprenditori della famiglia in eventuali affari illeciti. Vizzini ha smentito la versione fornita invece agli inquirenti dall’ex imprenditore Angelo Bernascone. I Luca e i loro legali, già in fase di indagine, hanno insistito sul fatto che le attività economiche erano finite nel mirino dei clan. Per i pm della Dda di Caltanissetta, invece, ci sarebbero stati rapporti con esponenti di mafia, al punto da averli indotti ad attivare misure sui loro patrimoni (il procedimento è in corso in fase di appello). Gli imputati sono rappresentati dai legali Carlo Taormina, Antonio Gagliano, Filippo Spina, Flavio Sinatra, Carmelo Peluso, Luigi Latino, Fabio Fargetta e Alessandro Diddi.