Brescia. Solo l’entità di alcune pene è stata rivista dai giudici della Corte di appello di Brescia. C’è stata infatti una conferma quasi complessiva delle decisioni già emesse in primo grado per gli imputati coinvolti nel blitz “Leonessa”. La decisione è stata pronunciata nel primo pomeriggio dai magistrati lombardi. Ancora una volta è stata esclusa la contestazione mafiosa, come avvenuto anche in altri filoni processuali scaturiti dalla stessa inchiesta. I pm dell’antimafia bresciana concentrarono l’attenzione su un gruppo di gelesi che per un certo periodo sviluppò una serie di operazioni finanziarie e di consulenza in Lombardia e in altre aree del nord Italia. Per i giudici, sussistono i fatti legati alle ipotesi di reato concentrate sulle truffe tributarie e su contestazioni correlate. Quella individuata dagli investigatori, però, anche per la Corte d’appello non era un’organizzazione mafiosa. Sedici anni e quattro mesi di reclusione sono stati imposti al consulente Rosario Marchese, considerato l’apice del sistema delle compensazioni fiscali illecite. Sette anni ad Alessandro Scilio, anche in questo caso escludendo l’aggravante mafiosa. Sette anni e sei mesi a Gianfranco Casassa, con il riconoscimento della continuazione rispetto ad una sentenza del 2021. Per la posizione di Giovanni Interlicchia, invece, è venuta meno la recidiva e la condanna è stata indicata in tre anni e otto mesi di reclusione. Per Carmelo Giannone (difeso dal legale Maurizio Scicolone che ha preannunciato ricorso in Cassazione) ed Enrico Zumbo è stata riconosciuta la sospensione condizionale della pena e la non menzione. Giannone, in primo grado, venne condannato ad un anno e otto mesi; Zumbo, invece, a due anni. Sono state confermate, infine, le decisioni emesse per Giuseppe Arabia (quattro anni), Antonella Balocco (sette anni e quattro mesi), Simone Di Simone (quattro anni e sette mesi), Angelo Fiorisi (sette anni e otto mesi e già in primo grado difeso dai legali Flavio Sinatra e Desolina Farris erano cadute dieci contestazioni e l’ipotesi che fosse il capo dell’organizzazione) e Corrado Savoia (sette anni di detenzione).
I giudici di secondo grado hanno confermato l’assoluzione per Danilo Cassisi, difeso dal legale Giacomo Ventura. La sua posizione era stata impugnata dai pm. Altri quattro imputati, lo scorso anno, vennero assolti dal collegio bresciano. L’inchiesta, parallela a quella che la Dda di Caltanissetta ribattezzò “Stella cadente”, prese le mosse dall’ipotesi che gli stiddari gelesi potessero aver sostenuto il sistema della compensazioni indebite per avere ingenti profitti da reinvestire. Fino ad oggi, l’ipotesi mafiosa però non è mai stata riconosciuta in giudizio. Le motivazioni verranno depositate nel termine di novanta giorni. Tra i legali di difesa, gli avvocati Sinuhe Curcuraci, Maria Valeria Feraco, Gianluca Marta, Oliviero Mazza, Deborah Abate, Vito Felici, Davide Limoncello, Mauro Sgotto, Domenico Peila, Maurizio Basile e Roberta Castorina.