Gela. Per alcune ore, nel settembre di cinque anni fa, si erano incatenati davanti ai cancelli di ingresso del centro, allora gestito dalla società agrigentina Sap, già titolare dell’appalto per la raccolta
e lo smaltimento dei rifiuti in città.
Incatentati ad un cancello. La protesta è costata la condanna, a venti giorni di arresto, a due ex operai della società, finiti a processo davanti al giudice Marica Marino. Il pubblico ministro Sonia Tramontana, pur riconoscendo le ragioni dei due operai, in protesta dopo il mancato ottenimento della proroga del contratto, ha comunque chiesto la condanna a tre mesi di reclusione. In base alle accuse, bloccando l’ingresso del centro, per alcune ore non avrebbero consentito lo svolgimento delle attività e il transito degli autocompattatori. Da quanto emerso, però, l’azienda non avrebbe subito alcun danno. Simbolicamente, il legale che ha rappresentato il gruppo, costituito parte civile, ha chiesto un risarcimento di un euro. I difensori degli imputati, gli avvocati Raffaela Nastasi, Franco Vinciguerra e Flavio Sinatra, hanno però sottolineato come la protesta fosse da legare al mancato rinnovo dei contratti e al fatto che, in questo modo, i due operai e le loro famiglie si sarebbero venuti a trovare privi di un qualsiasi supporto economico. Non a caso, è stato invocato anche lo stato di necessità. “Abbiamo sbagliato – hanno detto i due operai finiti a processo – ma senza quel lavoro, siamo rimasti senza sostegni economici”. Alla fine, seppur minima, è comunque arrivata la condanna.