Gela. Cinque anni e due mesi di reclusione
per un presunto cavallo di ritorno ai danni dei titolari di una piccola azienda edile della città.
La condanna in primo grado. Il verdetto di condanna nei confronti del trentacinquenne Nunzio Parisi è stato pronunciato dal giudice del tribunale a giugno, adesso la difesa ha scelto di impugnare la decisione. Parisi venne arrestato dai carabinieri che, dopo un’indagine avviata a seguito di un furto subito dai titolari dell’azienda, riuscirono a risalire proprio a lui. Così, è stato accusato di estorsione per aver chiesto denaro in cambio della riconsegna di quanto portato via dal cantiere. In una notte, sparirono un mezzo da lavoro e materiali vari, in parte poi fatti ritrovare. Dietro all’intera vicenda, però, ci sarebbe stato proprio il trentacinquenne, condannato in primo grado. A questo punto, il suo caso verrà valutato dai giudici della Corte d’appello di Caltanissetta. Il legale di fiducia, l’avvocato Davide Limoncello, ha già deciso di appellare la condanna di primo grado. Davanti al giudice del tribunale, la difesa ha messo in luce diverse possibili incongruenze nella ricostruzione fornita dagli investigatori. L’imputato ha sempre escluso di aver chiesto soldi agli imprenditori per la restituzione dei mezzi. Sarebbe stato contattato proprio dalle vittime del furto, che gli avrebbero chiesto di interessarsi alla vicenda. Il difensore, in aula, ha sottolineato l’assenza di elementi certi per collegare Parisi al furto e al successivo cavallo di ritorno. Neanche le immagini dei sistemi di videosorveglianza avrebbero mai ripreso l’imputato. In dibattimento, sia i titolari dell’azienda sia l’associazione antiracket “Gaetano Giordano” si sono costituiti parte civile con l’avvocato Giuseppe Panebinaco.