Gela. “Non c’è un pericolo di fuga”. I difensori degli imputati nel procedimento scaturito dal blitz antimafia “Redivivi” l’hanno sostenuto davanti ai giudici del riesame di Caltanissetta. Dopo il verdetto di appello che ha aggravato le pene nei confronti dei coinvolti, con il riconoscimento dell’associazione mafiosa, chi si trovava ai domiciliari è stato sottoposto alla custodia cautelare in carcere, con l’arresto scattato direttamente in aula. I legali si sono rivolti ai magistrati del riesame chiedendo l’annullamento delle misure di custodia cautelare in carcere. Con il verdetto di secondo grado, sono stati disposti quattordici anni e dieci mesi di reclusione per Vincenzo Trubia, undici anni a Davide Trubia e Ruggero Biundo, dieci anni e dieci mesi a Rosario Trubia (1990), dieci anni e tre mesi a Nunzio Trubia, otto anni e undici mesi a Luca Trubia e Simone Trubia, otto anni e nove mesi a Rosario Caruso e un anno di reclusione a Rosario Trubia (1989). In primo grado, il collegio penale del tribunale di Gela aveva escluso l’esistenza di un’organizzazione mafiosa, che sarebbe ruotata intorno ai Trubia, capaci di imporre una sorta di monopolio nella raccolta della plastica tra le aree rurali della città e nei servizi di guardiania. Nel verdetto, è stato riconosciuto il “metodo mafioso”.
I giudici della Corte d’appello, invece, hanno ritenuto che quello dei Trubia sia un gruppo di mafia e così sono arrivate condanne più pesanti. I difensori, gli avvocati Flavio Sinatra, Carmelo Tuccio, Nicoletta Cauchi e Cristina Alfieri, hanno contestato l’aggravamento delle misure cautelari che hanno portato in carcere gli imputati prima sottoposti ai domiciliari. Secondo la loro linea, non ci sarebbero i presupposti per giustificare il carcere, nonostante le condanne più pesanti emesse dalla Corte d’appello. I giudici del riesame decideranno entro i prossimi giorni.