Gela. Cosa nostra etnea avrebbe controllato appalti da milioni di euro e imposto, anche per il tramite di esponenti politici locali, proprie aziende di fiducia. Appalti e pressioni. E’ solo uno dei tanti aspetti investigativi finiti al centro dell’inchiesta antimafia “Iblis”. Tra le aziende sottoposte alle presunte pressioni mafiose, c’era la Sicilsaldo che, nel periodo al centro del procedimento penale, vinse diversi appalti pubblici nell’area a ridosso di Palagonia. Nei prossimi giorni, dopo le venti condanne inferte in primo grado, i pubblici ministeri Gaetano Siscaro e Antonino Fanara concluderanno la loro requisitoria con la probabile richiesta di ulteriori condanne. Proprio il gruppo gelese Sicilsaldo, come già accaduto in primo grado, si è costituto parte civile anche nel giudizio che si sta tenendo davanti alla Corte d’appello di Catania. I titolari sarebbero stati vittime delle richieste estorsive.
I boss volevano controllare i lavori. L’interessamento del gruppo di cosa nostra catanese verso l’azienda impegnata nei cantieri, intanto appaltati, sarebbe stato dimostrato dagli incontri richiesti dai boss Angelo Santapaola ed Enzo Aiello. Ai responsabili di Sicilsaldo, come emerso dalle indagini, sarebbero arrivate pressioni anche da ex amministratori del comune di Palagonia. In sostanza, sarebbero state indicate aziende locali alle quali affidare i subappalti di modo da evitare eventuali conseguenze. A conclusione della requisitoria dei pm, spetterà ai legali di parte civile e a quelli di difesa concludere nell’interesse dei rispettivi assistiti. Si tratta del troncone processuale ordinario scaturito da una vasta indagine, successivamente sfociata in più procedimenti.