Gela. Avrebbero supportato i tre giovani che lo scorso marzo, in pieno lockdown, colpirono la gioielleria “Rachele”, in pieno centro storico. Una “spaccata” che secondo gli investigatori avrebbe fruttato un bottino da 77 mila euro. Il giudizio nei confronti del trentottenne Giacomo Di Noto e del trentenne Dario Gagliano si sposta davanti al collegio penale del tribunale. Lo ha stabilito il giudice Eva Nicastro, a seguito di una nuova contestazione mossa dal pm Federica Scuderi nei confronti di Di Noto, ora accusato sulla scorta di quanto riscontrato in passato, quando fu coinvolto in un’indagine antimafia, per la vicinanza ai clan. L’aggravante rispetto alla posizione del trentottenne è stata formulata in aula e fa scattare la competenza del collegio penale. Secondo quanto ricostruito dai pm e dagli agenti di polizia del commissariato, Di Noto avrebbe avuto un ruolo nel ricettare i preziosi portati via dalla gioielleria “Rachele”, la cui vetrina venne sfondata, per gli investigatori da Carmelo Martines, Michael Smecca e Angelo Lombardo (che ha già patteggiato). In base all’esito dell’indagine, invece, Gagliano avrebbe fatto da tramite fra il gruppo che colpì e persone vicine ai titolari della gioielleria, pare nel tentativo di scambiare la refurtiva con denaro. Un possibile cavallo di ritorno che ha portato i pm della procura ad avviare indagini, fino a coinvolgere due familiari dei proprietari, che sarebbero entrati in contatto con chi colpì, per riottenere quanto sottratto. Di Noto e Gagliano sono difesi dagli avvocati Flavio Sinatra, Carmelo Tuccio e Cristina Alfieri.
Il giudice ha concesso un termine ai legali, per valutare le prossime scelte. L’azione venne integralmente ripresa dai sistemi di videosorveglianza. Immagini che sono servite per risalire ai responsabili della “spaccata”. In aula si tornerà a febbraio, questa volta davanti al collegio penale.