Gela. C’era lui a spalleggiare il coetaneo Giuseppe Trubia, quando nel giugno di tre anni fa, nelle prime ore del pomeriggio, diversi colpi di fucile vennero esplosi contro un’abitazione privata di via Cascino e verso un bar di via Crispi. I giudici della Corte di Cassazione hanno confermato la condanna a cinque anni e cinque mesi di reclusione imposta al ventiseienne Saverio Di Stefano. Sono state pubblicate le motivazioni. Entrambi vennero arrestati al termine dell’inchiesta “Far west”, condotta dai pm della procura, dai carabinieri e dai poliziotti del commissariato. I due furono individuati analizzando le immagini registrate dai sistemi di videosorveglianza. Nell’arco di poche ore, vennero messe a segno due azioni di fuoco. A sparare, come ammise dopo l’arresto, fu Trubia (per lui la condanna a quattro anni di reclusione è già definitiva). Venne usato un fucile con matricola abrasa, poi ritrovato in un ovile di contrada Fiaccavento. La difesa di Di Stefano, anche nel ricorso in Cassazione, ha ribadito l’assenza di elementi di prova che potessero condurre a lui. Trubia lo scagionò, escludendo che fosse presente. Una ricostruzione che non ha mai convinto né gli investigatori né i giudici, certi che il ventiseienne fosse alla guida dell’automobile.
Durante le indagini, oltre al fucile, vennero ritrovati i resti bruciati della Fiat Panda usata per spostarsi e i carabinieri arrivarono all’ovile, a quanto pare mentre Trubia e Di Stefano stavano cercando di dare alle fiamme diversi indumenti, probabilmente quelli indossati quando colpirono. I giudici di Cassazione hanno respinto il ricorso della difesa, che ha messo in discussione le conclusioni degli investigatori, confermando la condanna a Di Stefano, ora definitiva.