Gela. “Dopo essere uscito dalla vasca, stavo per riprendere le attrezzature. Da quel momento, non ricordo più nulla. Non ho visto cosa mi abbia colpito”.
“Nessuna formazione preliminare per quel lavoro”. In aula, davanti al giudice Tiziana Landoni, è stato sentito un operaio dell’indotto Eni, allora in forza al gruppo metalmeccanico Smim, vittima di un grave incidente in fabbrica. Rimase ferito nel febbraio di quattro anni fa. Per quei fatti, a processo, sono finiti vertici e tecnici di Smim ed Eni, oltre alla stessa società metalmeccanica. A giudizio, ci sono Giancarlo Barbieri, Giorgio Satorini, Massimo Bonelli, Filippo Pepe e Massimo Casisi, oltre appunto alla Smim. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Flavio Sinatra e Gualtiero Cataldo. “Avevo effettuato il taglio di un tubo che andava sostituito all’interno di una vasca – ha spiegato l’operaio – avevamo a disposizione i presidi minimi, il casco e la maschera. Ho subito la frattura, in più punti, della mandibola. E’ stato necessario l’inserimento di due placche metalliche”. L’operaio è parte civile in dibattimento, con l’avvocato Paolo Testa. “Ero rientrato in servizio solo il giorno precedente, dopo un lungo periodo di cassa integrazione – ha continuato – non abbiamo ricevuto alcuna formazione specifica per quel lavoro. Ricordo che il tubo era stato imbracato per essere sostituito”. In base alla ricostruzione condotta dagli inquirenti, il lavoratore sarebbe stato colpito dai tubolari di un ponteggio, allestito all’isola 12 dello stabilimento di contrada Piana del Signore. I difensori degli imputati, sono ritornati su quanto accaduto quel giorno. Per i legali, sarebbero state rispettate tutte le misure di prevenzione necessarie. L’operaio ha risposto anche alle domande del pubblico ministero Tiziana Di Pietro. Intanto, nuovi testimoni verranno sentiti durante la prossima udienza.