Gela. Non sono maturati elementi concreti per ritenere che la loro condotta fu di favoreggiamento verso alcuni esponenti stiddari. Il pm della Dda di Caltanissetta Stefano Strino, davanti al collegio penale del tribunale, ha chiesto l’assoluzione per gli imprenditori Guido Cirignotta e Angelo Cirignotta. Sono imputati in un procedimento scaturito da una costola d’indagine del maxi blitz “Agorà”. Secondo le iniziali accuse, avrebbero negato di aver mai subito pressioni dai clan anche per l’assunzione di esponenti vicini al gruppo stiddaro di Emanuele Palazzo. “Le loro dichiarazioni non furono genuine – ha detto in aula il pm – ma non ci sono i presupposti per il favoreggiamento”. Assoluzioni sono state richieste, inoltre, per Carmelo Curvà, Luciano Orazio Curvà, Giuseppe Nocilla, Simone Nicastro, Giuseppe Caci, Umberto Barone e Salvatore Antonuccio. Inizialmente, a giudizio c’era anche Emanuele Palazzo, considerato uno dei punti di riferimento della nuova stidda riorganizzata. Negli scorsi anni è però deceduto e nei suoi confronti non si è proceduto. Gli investigatori individuarono alcuni esercenti ed imprenditori, che vennero poi accusati di aver tentato di coprire le imposizioni che arrivavano proprio dagli stiddari. Una ricostruzione che non ha trovato riscontro anche a seguito delle dichiarazioni successivamente ritrattate dall’ex collaboratore di giustizia Davide Nicastro, ormai uscito dal programma speciale e che anche oggi si è avvalso della facoltà di non rispondere. Le difese concluderanno durante le prossime udienze ma già in istruttoria hanno prodotto atti a sostegno della loro tesi, destinata ad escludere qualsiasi imposizione da parte degli stiddari ma anche eventuali condotte di imprenditori ed esercenti, orientate a loro supporto. Le uniche richieste di condanna sono state formalizzate per Paolo Di Maggio e per la moglie, Giuseppa Palazzo (sorella di Emanuele Palazzo). Vanno condannati ad otto anni di detenzione, secondo quanto indicato dal pm dell’antimafia nissena. Ha spiegato che Di Maggio, anche attraverso Emanuele Palazzo, avrebbe fatto pressione sui titolari di un supermercato locale per l’assunzione della moglie, che a sua volta sarebbe stata consapevole dell’iniziativa.
“Non avevano bisogno di quell’assunzione ma la fecero ugualmente proprio perché sapevano quale fosse la caratura di Palazzo – ha aggiunto il pm – non a caso specificarono che tutti però dovevano presentarsi sul posto di lavoro e collocarono la sorella di Palazzo nel reparto macelleria, forse per dissuaderla dal proseguire”. Di Maggio e Giuseppa Palazzo sono assistiti dai legali Cristina Alfieri e Guglielmo Piazza, che esporranno le loro conclusioni. Per il riconoscimento della responsabilità degli imputati ha concluso il legale Federica Maganuco, che insieme all’avvocato Valentina Lo Porto rappresenta l’associazione antiracket “Gaetano Giordano”, costituita parte civile. Gli altri imputati sono invece difesi dagli avvocati Davide Limoncello, Salvo Macrì, Giusy Ialazzo, Giovanna Zappulla, Ivan Bellanti, Nicoletta Cauchi, Alfredo D’Aparo e Lara Amata.