Gela. Il niscemese Antonino Pitrolo, adesso collaboratore di giustizia, va condannato ad otto anni di reclusione. Ha ammesso di aver fatto parte del commando che nell’ottobre di trentuno anni fa, a San Giuliano Milanese, freddò Cristoforo Verderame. Per i pm, la guerra di mafia tra stidda e Cosa nostra era arrivata nell’hinterland lombardo. Al gelese non fu lasciato scampo. Venne ammazzato nel cortile di una scuola dell’infanzia. Era armato a sua volta, ma non riuscì a sfuggire alla morte. Particolari emersi dai racconti di un altro collaboratore di giustizia, Emanuele Tuccio. Per l’omicidio Verderame, davanti al gup del tribunale di Milano, oltre a Pitrolo c’è anche il boss Antonio Rinzivillo. Sarebbe stato lui ad ordinare la spedizione. I pm, nei suoi confronti, hanno chiesto il rinvio a giudizio. Pitrolo, a differenza di Rinzivillo, ha scelto il rito abbreviato e la sua posizione verrà definita già in settimana. Probabilmente, Rinzivillo dovrà invece difendersi a processo. Le richieste dei pm sono state sostenute dai legali delle sorelle di Verderame, costituite parti civili. I familiari sono rappresentati dagli avvocati Giuseppe Simonetti e Carmelo Tuccio. Gli investigatori ritengono di essere venuti a capo delle dinamiche dell’omicidio, nonostante i decenni ormai trascorsi.
Nel corso del tempo, i pm hanno messo insieme una serie di azioni di sangue, tutte concentrate nello stesso periodo, legandole allo scontro tra stiddari e affiliati a Cosa nostra, entrati in guerra anche per il controllo degli affari illeciti nel Nord Italia. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Flavio Sinatra, Eliana Zecca e Maria Assunta Biondi.