Gela. Un termine ulteriore per depositare le motivazioni che a marzo hanno portato i giudici della Corte d’appello di Caltanissetta a disporre dodici condanne per i coinvolti nell’inchiesta antimafia “Extra fines”. I magistrati di secondo grado hanno formalizzato la decisione, che gli consentirà di avere uno spazio temporale maggiore per definire le ragioni delle loro conclusioni, rispetto ad un procedimento assai complesso collegato ad una maxi indagine, che ha fatto leva sulla riorganizzazione del gruppo Rinzivillo e sugli affari in diversi settori, che sarebbero stati obiettivo di aziende vicine ai clan. In appello, la condanna è stata pronunciata anche per l’imprenditore Emanuele Catania (sei anni e otto mesi di reclusione a fronte di una richiesta della procura generale di dieci anni). I giudici del collegio penale del tribunale di Gela, in primo grado, avevano deciso per l’assoluzione. Secondo le accuse, l’imprenditore, alla testa di un importante gruppo aziendale che opera nel settore ittico, avrebbe avuto rapporti con il boss Salvatore Rinzivillo. In appello, la difesa, sostenuta dall’avvocato Giacomo Ventura, ha escluso qualsiasi collegamento tra Catania e Rinzivillo. I giudici hanno deciso per la condanna. Lo stesso imprenditore ha parlato di una totale assenza di legami, anche commerciali, con Rinzivillo e si è difeso nel corso del giudizio. Assolto, invece, Giuseppe Licata, titolare di ditte di automezzi. Anche per la sua posizione c’era stata l’impugnazione della procura, a seguito di un’assoluzione di primo grado. La difesa, sostenuta dall’avvocato Flavio Sinatra, ha ribadito l’assenza di elementi che potessero collocarlo nell’orbita del clan Rinzivillo. Sono state confermate le condanne a Crocifisso Rinzivillo (trenta anni di reclusione in continuazione con precedenti verdetti), Umberto Bongiorno (sei anni e otto mesi), Rosario Cattuto (dodici anni di detenzione mentre la difesa sostenuta dall’avvocato Riccardo Balsamo ha presentato anche in appello una serie di conclusioni che hanno messo in dubbio il legame tra l’imputato e il gruppo Rinzivillo), Francesco Majale (sei anni e otto mesi), Vincenzo Mulè (sei anni e otto mesi), Luigi Rinzivillo (sette anni), Giuseppe Rosciglione (sei anni) e Alfredo Santangelo (dieci anni e otto mesi). Per la posizione di Antonio Maranto (difeso dall’avvocato Roberto Salerno), i giudici di appello hanno riconosciuto le attenuanti generiche riducendo la condanna a sei anni e otto mesi di detenzione (in primo grado la pena era di otto anni). Ci sono state variazioni anche per gli esercenti Angelo Giannone (otto anni e un mese) e Carmelo Giannone (dodici anni e quattro mesi), con il riconoscimento della continuazione.
Per Antonio Rinzivillo, fratello del sessantenne Salvatore Rinzivillo, i giudici di appello hanno riconosciuto la continuazione, con condanna a trenta anni di detenzione. Secondo gli inquirenti, gli ergastolani Antonio Rinzivillo e Crocifisso Rinzivillo avrebbero autorizzato la nuova reggenza della famiglia di mafia, affidandola al fratello Salvatore Rinzivillo, imputato in un altro filone processuale. I giudici di appello, in attesa del deposito delle motivazioni, hanno prorogato il termine per le misure attualmente imposte agli imputati.