“Era una macchinazione”, quattro carabinieri additati come incendiari: i giudici sollevano dubbi sui colleghi

 
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Gela. “Consapevoli collaboratori” di una “complessa macchinazione” che mirava ad addossare, su quattro carabinieri, la responsabilità dell’incendio di una Mercedes. Condanne in primo e secondo grado. Sono state depositate le motivazioni che hanno condotto i giudici della Corte di appello di Caltanissetta a confermare le condanne, a quattro anni di reclusione ciascuno, nei confronti del boss Peppe Alferi e di Francesco Giovane. Sia in primo che in secondo grado sono stati riconosciuti colpevoli di calunnia. Un video, palesemente artefatto, avrebbe ritratto i carabinieri Vincenzo Giuca, Stefano Di Simone, Giovanni Rizzo e Francesco Mangialardo mentre si avvicinavano ad una Mercedes parcheggiata nella zona di Sant’Ippolito. L’auto venne data successivamente alle fiamme. Le immagini vennero registrate dai sistemi di videosorveglianza installati nei pressi dell’abitazione dello stesso Francesco Giovane. Per il tramite di Peppe Alferi e del titolare di un supermercato di via Tevere, il video finì nelle mani di alcuni carabinieri, all’epoca dei fatti impegnati al nucleo operativo. Il video, però, come dimostrato dai periti nominati per valutarlo, era stato modificato. I quattro carabinieri si trovavano in quella zona solo per attività di indagini che intanto erano in corso nei confronti del proprietario della Mercedes. Ai quattro, costituiti parte civile in giudizio con l’avvocato Gabriele Cantaro, è stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni. I giudici di secondo grado, nelle motivazioni, sollevano dubbi anche sulla condotta di alcuni colleghi dei quattro militari calunniati. “Tale loro comportamento – scrivono – ha suscitato equivoci e non ha consentito di reperire per tempo l’originale delle immagini artefatte”. Le loro posizioni, però, vennero archiviate. Adesso, i quattro militari al centro dell’intera vicenda hanno deciso di rivolgersi ai giudici civili per ottenere il risarcimento dei danni subiti. Non è da escludere, inoltre, che i legali di fiducia dei due imputati, gli avvocati Giacomo Ventura e Maurizio Scicolone, possano impugnare in Cassazione il verdetto di condanna.

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