"E' ancora pericoloso e non si è dissociato", Cassazione conferma 41 bis per Alferi
Secondo i magistrati romani, che hanno ribadito la linea del tribunale di sorveglianza capitolino, Alferi non si è mai dissociato dal contesto criminale e di conseguenza il regime del 41 bis non può essere revocato

Gela. E' ritenuto ancora pericoloso e capace di mantenere contatti con l'organizzazione di mafia. La Corte di Cassazione ha confermato il regime del carcere duro per il sessantaduenne Giuseppe “Peppe” Alferi. Fu arrestato e poi condannato per le vicende dell'inchiesta antimafia “Inferis”. Fu ritenuto alla testa di quella che venne ribattezzata “terza mafia”, autonoma da Cosa nostra e stidda. I giudici di Cassazione, come già accaduto in passato, non hanno accolto il ricorso della difesa di Alferi, rappresentata dall'avvocato Maurizio Scicolone. Secondo i magistrati romani, che hanno ribadito la linea del tribunale di sorveglianza capitolino, Alferi non si è mai dissociato dal contesto criminale e di conseguenza il regime del 41 bis non può essere revocato. Lo scorso marzo, proprio il tribunale di sorveglianza di Roma, competente in materia di 41 bis, aveva respinto il reclamo di Alferi. Per la difesa, il sessantaduenne non sarebbe a capo di nessuna organizzazione. Non esisterebbe una terza mafia gelese, dato che dopo l'inchiesta “Inferis” non ci furono strascichi successivi. Lo stesso Alferi spiegò di non essere un mafioso ma “un malandrino”. Per i giudici, però, il fatto di non essersi mai pubblicamente dissociato incide sulla sua condizione criminale, con conferma della misura detentiva del 41 bis e delle relative restrizioni. A inizio anno, sulla base dei rapporti della Direzione nazionale antimafia e delle forze dell'ordine, il ministero ha rinnovato il carcere duro per Alferi.