Gela. Un commerciante, un impiegato statale, un operaio emigrato. Hanno vite diverse, ma un passato comune: sono i dieci ex operai del quinto modulo bis del dissalatore di Gela. Licenziati senza preavviso nel novembre del 2012, quando l’impianto chiuse improvvisamente. Oggi l’impianto è ormai ridotto a un cumulo di lamiere, ma la Regione ha annunciato di volerlo riattivare per combattere la siccità. Quando venne inaugurato nel 2006, il dissalatore era all’avanguardia, ma sei anni dopo fu dismesso. Una vicenda complicata, legata a debiti tra Regione ed Eni e al coinvolgimento dell’impianto in un’inchiesta giudiziaria che toccò Pietro Di Vincenzo, ex presidente di Confindustria, la cui impresa gestiva il quinto modulo. Uno scontro politico e finanziario che portò alla chiusura del dissalatore e al licenziamento dei lavoratori dall’oggi al domani.
Le proteste davanti alla Regione e le promesse di riassunzione non servirono. Per gli operai fu un duro colpo, una battaglia persa contro un sistema che sembrava non volerli più. Oggi, la Regione Siciliana parla di riattivare il quinto modulo bis. Un’operazione complicata, come confermano fonti interne all’Eni, che da mesi dialoga con i tecnici regionali per capire se il progetto sia davvero fattibile. Nel frattempo, la situazione idrica nella Piana di Gela rimane critica: le dighe sono vuote e le condutture fatiscenti. L’impianto “fantasma” potrebbe non tornare a pompare acqua dissalata, ma gli ex operai, nonostante l’amarezza, mantengono accesa una speranza.