Gela. Respinti i ricorsi dei difensori e le condanne diventano definitive per gli ex vertici dell’istituto paritario “Michelangelo”. Gli imputati erano accusati di truffa e falso. Per gli investigatori, sarebbero stati aggiustati i registri di presenza, favorendo il rilascio di diplomi “facili”, anche attraverso prove d’esame piuttosto “leggere”. I loro legali si sono rivolti ai giudici romani e hanno chiesto l’annullamento delle condanne. La procura generale ha concluso per il no ai ricorsi. In appello, i verdetti erano già stati rivisti al ribasso. Due anni di reclusione ad Emanuele Cassarino, Ernesto Calogero, Giuseppe Malfitano e Giovanni Rapidà. In primo grado, invece, i giudici del collegio penale del tribunale di Gela imposero quattro anni a Cassarino e Calogero, tre anni e quattro mesi a Rapidà e tre anni e tre mesi a Malfitano. La Corte d’appello, inoltre, ha disposto la condanna ad un anno di reclusione per Luigi Rizzari (in primo grado il verdetto era stato di due anni e tre mesi). Una decisione che ha accertato l’intervenuta prescrizione del reato associativo, con il riconoscimento delle attenuanti generiche rispetto all’accusa di falso in atto pubblico. Inoltre, come chiesto dai difensori, per tutti gli imputati arrivò il riconoscimento della sospensione condizionale della pena. I legali di difesa, nel giudizio capitolino, hanno fatto leva su un recente pronunciamento di un’altra sezione della stessa corte, che avrebbe messo in discussione un qualsiasi verdetto di colpevolezza. In base alla loro linea, ci sarebbe stata la contestazione di un’aggravante al delitto di falso, inizialmente non indicata dai pm che condussero l’inchiesta.
I difensori (tra questi gli avvocati Antonio Gagliano, Giuseppe Nicosia e Vittorio Giardino) hanno sostenuto l’esistenza di tutti i presupposti per ottenere l’annullamento. Nei precedenti gradi di giudizio, i legali hanno più volte richiamato il decreto di archiviazione emesso dopo le verifiche investigative su iscritti e docenti dell’istituto, ritenendo infondati gli addebiti invece mossi ai responsabili delle scuole. I giudici non hanno accolto l’azione, disponendo che le condanne diventino definitive.