Gela. Ancora troppi profili di pericolosità, nonostante sia detenuto da anni. La Corte di Cassazione non ha accolto il ricorso presentato dalla difesa del quarantottenne Giovanni Rubino, condannato perchè coinvolto nell’omicidio di Maurizio Morreale, ucciso nel dicembre di ventisette anni fa. Sia il magistrato di sorveglianza di Cuneo che il tribunale di Torino non avevano dato l’assenso alla richiesta per un permesso premio. Un no che ha portato a rivolgersi alla Cassazione. I giudici romani, però, hanno confermato quanto già deciso.
Non basta, secondo i giudici capitolini, fare riferimento a “mere affermazioni” che possano provare un affievolimento della pericolosità. “Il detenuto, ai fini dell’ammissibilità dell’stanza, deve comunque allegare elementi fattuali (quali, ad esempio, l’assenza di procedimenti posteriori alla carcerazione, il mancato sequestro di missive o la partecipazione fattiva all’opera rieducativa) che, anche solo in chiave logica, siano idonei a contrastare la presunzione di perdurante pericolosità”, si legge nelle motivazioni rilasciate dai giudici di Cassazione. Secondo la difesa, invece, Rubino avrebbe maturato i requisiti per accedere al permesso premio, anche sulla scorta di una pronuncia di parziale incostituzionalità di una delle norme dell’ordinamento penitenziario che riguardano proprio il riconoscimento di benefici, anche in assenza di una collaborazione con la giustizia. In base a quanto emerse dalle indagini, Rubino e gli altri complici entrarono in azione nell’interesse del gruppo di Cosa Nostra degli Emmanuello, contrapposto in quel periodo all’ala dei Rinzivillo. L’obiettivo da colpire era proprio Morreale.