Gela. In primo grado, la condanna fu pesante a cinque anni e otto mesi di detenzione, con l’accusa di estorsione. L’imprenditore Salvatore Migliore non avrebbe pagato alcuni operai che per diversi mesi lavorarono nella sua fornace, lungo la Gela-Butera. Attraverso la difesa, si è rivolto ai giudici della Corte d’appello di Caltanissetta. Il giudizio è iniziato e più volte rinviato. Non solo i mancati pagamenti, visto che per gli investigatori ci sarebbero state minacce. L’imprenditore avrebbe avvertito gli operai, se avessero continuato a chiedere i pagamenti si sarebbe rivolto alle forze dell’ordine, denunciandoli per estorsione. Avrebbe fatto riferimento ad una presunta adesione all’associazione antiracket, che però non sarebbe mai stata formalizzata. La condanna di primo grado è stata impugnata dalla difesa. Quattro operai che decisero di raccontare quanto era accaduto si sono costituiti parti civili nel procedimento e il giudice di primo grado gli ha riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni, oltre ad una provvisionale da cinquemila euro ciascuno. I legali che li rappresentano, gli avvocati Davide Limoncello e Carmelo Brentino, nelle conclusioni esposte davanti al giudice del tribunale di Gela, hanno ripercorso la travagliata esperienza dei lavoratori, che ad un certo punto capirono di non poter neanche chiedere gli stipendi, altrimenti Migliore avrebbe potuto denunciarli. Saranno i giudici di appello a valutare il ricorso della difesa, che già in primo grado ha escluso la sussistenza dell’ipotesi di estorsione.
Secondo la linea difensiva, l’imputato avrebbe sempre cercato di onorare gli impegni sulle retribuzioni, ma la crisi della sua attività non gli consentiva di coprire tutte le somme entro le scadenze pattuite. Alcuni operai, sentiti nel corso del dibattimento di primo grado, spiegarono che l’imputato, nel tentativo di punire un elettricista che non si era presentato alla fornace, chiese loro di contattare qualcuno che potesse incendiargli l’automobile.