Enna. “La Curia, nella persona del vescovo Rosario Gisana, ha omesso con ogni evidenza qualsiasi seria iniziativa a tutela dei minori della sua comunità e dei loro genitori nonostante la titolarità di puntuali poteri/doveri conferiti nell’ambito della rivestita funzione di tutela dei fedeli, facilitando l’attività predatoria di un prelato già oggetto di segnalazione”.
Pesano come macigni le parole che si leggono nelle motivazioni della sentenza che ha disposto la condanna a 4 anni e sei mesi, lo scorso 5 marzo, per il sacerdote Giuseppe Rugolo per violenza sessuale aggravata a danno di minori.
Il deposito delle motivazioni, previste per il 5 giugno, arriva dopo 137 giorni. Il documento però conferma a pieno l’impianto accusatorio che la Procura di Enna ha sostenuto durante le udienze e che ha portato alla condanna di Rugolo.
Si tratta di 222 pagine dalle quali emerge con chiarezza che Antonio Messina, il giovane archeologo che ha avuto il coraggio di denunciare gli abusi subiti “ha mostrato– si legge testualmente – particolare lucidità, coerenza e logicità, offrendo un’articolata ed originale narrazione in termini congrui rispetto ai fattori spazio- temporali in cui i fatti denunciati vanno necessariamente collocati”.
Antonio Messina dunque, è stato ritenuto credibile come anche gli altri giovani, per i quali il Tribunale ha accertato la violenza sessuale mentre ancora erano minorenni.
Secondo il collegio giudicante, presieduto da Francesco Paolo Pitarresi, affiancato dai giudici Elisa D’Aveni e Maria Rosaria Santoni, il vescovo di Piazza Armerina, Rosario Gisana, avrebbe facilitato, con il suo comportamento, gli abusi perpetrati dal sacerdote.
E aggiungono che: “la condotta coscientemente colposa da parte del vescovo Rosario Gisana rende legittima la condanna al risarcimento del danno della Curia nella sua qualità di responsabile civile per i pregiudizi cagionati da padre Rugolo”.
Insomma, il vescovo non poteva non sapere e di fatto avrebbe omesso ogni possibile intervento a salvaguardia delle vittime, causando con questa inerzia il perpetrarsi delle condotte che i giudici definiscono predatorie, del sacerdote successivamente condannato per violenza sessuale aggravata a danno di minori e adesso la Curia dovrà pagare per questo.
Queste in sintesi le motivazioni, adesso le parti hanno 45 giorni per proporre un eventuale appello.