Gela. Non è stato un possibile errore di datazione e anzi il capitello di via Sabello sarebbe da collocare tra VI e IV secolo a.c. La soprintendente di Caltanissetta Daniela Vullo respinge le forti perplessità avanzate da diversi esperti del settore. “Il manufatto oggetto di contestazione, pur se inequivocabilmente dotato di due volute – dice – non interpreta forse con rigore vitruviano lo stile ionico ma dovendo fare fede al suo contesto di ritrovamento riteniamo di poter affermare che esso è con certezza antico e non una bufala. Abbiamo tuttavia avuto l’impressione che giudizi così netti, formulati sulla base della sola documentazione fotografica diffusa dai media, possano essi stessi aver peccato di una qualche precipitazione, soprattutto perché non tengono in considerazione, non avendone i loro autori alcuna cognizione, il contesto stratigrafico dei ritrovamenti alla cui importanza sopra si è accennato”. Le polemiche hanno evidentemente fatto breccia anche tra gli esperti della soprintendeza nissena, che stanno seguendo i lavori e monitorano i tanti ritrovamenti. “Il manufatto oggetto di contestazione, pur se inequivocabilmente dotato di due volute, non interpreta forse con rigore vitruviano lo stile ionico, mancandone elementi egualmente caratterizzanti come il kymation ad ovoli e le palmette laterali, ma dovendo fare fede al suo contesto di ritrovamento riteniamo di poter affermare che esso è con certezza un manufatto antico e non certamente una bufala. L’oggetto in questione è stato infatti rinvenuto all’interno di un profondo pozzo cilindrico, come molti se ne intercettano nel sottosuolo delle colonie greche di Sicilia e dei quali la stessa Gela ha già offerto numerosi esempi – dice ancora il soprintendente – al loro interno si vanno nel tempo accumulando utensili, tegole, vasellame in frammenti ed elementi vari temporaneamente in disuso, in un ordine di deposizione comprensibilmente inverso che l’attenta indagine stratigrafica consente di ricostruire a partire dalle quote più superficiali in cui si incontrano i manufatti più recenti, per intercettare via via i più antichi man mano che si procede in profondità. All’interno del pozzo, il capitello si attestava alla quota non trascurabile di -2,70 metri a partire dal piano di campagna, ma soprattutto giaceva al di sotto di ben sette pesanti lastre in arenaria, di difficilissima movimentazione, spesse circa 25 centimetri, lunghe fino ad un massimo di un metro, dotate sul fronte anteriore di una modanatura a rilievo, probabilmente facenti parte di una antica trabeazione. Esse tuttavia non hanno certo l’apparenza di conci squadrati da costruzione destinati a edifici novecenteschi, come saremmo costretti a supporre, accettando la datazione proposta al ‘900 per il capitello sottostante. Al di sopra delle lastre ed inframezzati alle stesse, a mo’ di zeppe, erano poi presenti più tratti di antiche tegole piane in terracotta in qualche caso dotate anche del breve listello aggettante tipico dell’età ellenistica. Nel modesto interro frapposto fra le lastre poste più in profondità ed il capitello, si è recuperata una porzione di statuetta votiva femminile in terracotta, riconducibile al culto di Demetra e Kore tradizionalmente praticato a Gela a partire dal VI secolo a.c.”.
Ci sarebbero tutti gli elementi, quindi, per ritenere che si tratti di un ritrovamento di non poco conto. Nel corso dello scavo condotto da Enel, sarebbero già affiorate “ulteriori componenti architettoniche”, che vanno quindi approfondite, con la possibilità che possano far parte di un sito ancora più ampio.