Gela. Si considerano “buttati via”, tagliati dopo anni di lavoro per conto di Ascot International, che alla fine li avrebbe licenziati solo per far posto a personale a tempo determinato, quindi con minori costi. Giuseppe Carrara, Claudio Perrone e Domenico Maganuco, dopo aver perso l’occupazione, hanno ricevuto pure un verdetto negativo dai giudici del lavoro del tribunale, che hanno respinto i loro ricorsi, presentati proprio per ottenere la revoca dei licenziamenti. Così, hanno deciso di raccontare la loro vicenda. “Vogliamo raccontare la nostra storia per sensibilizzare la società affinché vicende come la nostra non si ripetano e perché i lavoratori siano tutelati dalla giustizia e dallo Stato che, con una legge opinabile, li trattiene al lavoro fino a sessantotto anni. Noi invece siamo stati ‘buttati’ e ci ribelliamo – dicono – abbiamo storie diverse. Ci sono l’operaio, il professionista, l’impiegato, ma siamo accomunati da un unico denominatore, il licenziamento che riteniamo senza giusta causa. La Ascot Industrial ha operato nell’ottobre del 2017 il nostro licenziamento, adducendo motivi di riassetto aziendale dovuto ad un ridimensionamento dell’azienda a seguito di una presunta crisi aziendale; riassetto operato con la esternalizzazione dei settori aziendali dove eravamo collocati. Il riassetto aziendale si è concretizzato con l’“esternalizzazione” di alcune attività produttive che riguardano proprio noi tre lavoratori. Abbiamo impugnato il licenziamento sostenendo in sintesi di avere svolto nel corso del rapporto di lavoro mansioni in diverse attività produttive oggi ancora attive in azienda con frequenti cambi di mansioni e per lunghi periodi, con conseguente acquisizione di professionalità. Che strumentalmente la Ascot nell’ultimo periodo antecedente il cosiddetto “riassetto aziendale” ci ha collocati in quei settori che aveva già programmato di esternalizzare con conseguente licenziamento. Che la Ascot non ha inteso riutilizzarci nei settori non esternalizzati e nei quali avevamo già proficuamente esercitato le mansioni, non considerando che in tali settori sono rimasti lavoratori con anzianità di servizio e situazione familiare che certamente vedrebbero garantito il mantenimento del nostro posto di lavoro. Che non risponde al vero la crisi economica della Ascot visto che, a fronte della esternalizzazione dei settori riguardanti noi lavoratori, negli altri settori dove avevamo comunque proficuamente svolto per tanti anni le mansioni, come emerge dalle buste paga prodotte in giudizio, sono state effettuate diverse nuove assunzioni a tempo determinato, a riprova dell’incremento di produzione in tali settori nei quali potevamo proficuamente essere ricollocati avendo anzianità di servizio e qualifiche maggiori rispetto a lavoratori che hanno mantenuto il posto”.
I giudici, però, hanno dato ragione all’azienda, ritenendo legittimi i tagli. “Il tribunale del lavoro di Gela ha ritenuto di rigettare i ricorsi ritenendo prevalente il presunto interesse della azienda, parte forte del rapporto, rispetto all’interesse di noi lavoratori, parti deboli del rapporto, a mantenere il posto anche mediante ricollocazione in altro settore da noi stessi già occupato. Tale decisione appare singolare se si considera che nelle sentenze viene citata giurisprudenza della Cassazione che sembra contraddire le stesse decisioni. La Ascot ha scientemente esternalizzato alcuni settori, dove siamo stati collocati, senza tenere in considerazione che prima eravamo stati impiegati proficuamente in settori che oggi non solo non vengono esternalizzati ma potenziati con personale a basso costo e a tempo determinato, piuttosto che ricollocare i lavoratori che hanno maturato in quei settori esperienza e professionalità, ma che avrebbero avuto costi maggiori. Le decisioni del tribunale del lavoro di Gela appaiono ancora più singolari se si considera che viene premiata la strategia “remunerativa” della Ascot piuttosto che il diritto costituzionale al mantenimento del posto di lavoro di tre dipendenti che hanno la sola colpa di avere un’anzianità e una professionalità maggiore con conseguenti costi maggiori per il datore di lavoro. E’ evidente che la scelta di personale a tempo determinato con minore professionalità a discapito del ricollocamento di dipendenti maggiormente qualificati ha solo finalità speculative senza garanzia di qualità a scapito di una situazione familiare e personale di tre lavoratori che vengono sacrificati sull’altare del profitto con la “benedizione” del tribunale del lavoro che dovrebbe tutelare, forse, il diritto al lavoro prima del diritto al profitto”. Nonostante il verdetto sfavorevole, per il tramite dei loro legali, hanno già deciso di rivolgersi alla Corte d’appello di Caltanissetta. “Andremo avanti fino ad arrivare al terzo grado di giudizio, se serve – concludono – e questo implicherà ulteriori spese e sacrifici, ma ne varrà la pena per portare avanti una battaglia personale ma anche per creare un precedente per altri lavoratori perseguitati dalla longa manus di chi prende e getta indiscriminatamente”.