Gela. Arriva in appello un altro filone processuale, scaturito dalla maxi inchiesta antimafia “Extra fines”, concentrata sulla riorganizzazione della famiglia Rinzivillo, per gli inquirenti affidata al sessantenne Salvatore Rinzivillo. E’ fissato per fine novembre il giudizio di secondo grado nei confronti di diciassette imputati. La data fissata corrisponde a quella dell’udienza, già prevista, per un’altra costola processuale dell’inchiesta. Non si escludono neanche ipotesi di eventuali riunioni. In primo grado, le condanne furono pronunciate per i fratelli ergastolani Antonio Rinzivillo (venti anni di detenzione per i fatti successivi al 2008) e Crocifisso Rinzivillo (trenta anni di reclusione in continuazione con precedenti verdetti). Sarebbero stati loro, seppur detenuti in carcere ormai da anni e sotto regime di 41 bis, a dare il comando della famiglia di Cosa nostra all’altro fratello, Salvatore. Si sarebbe mosso tra Roma, Gela e la Germania, con contatti frequenti fuori dall’Italia. Intorno a lui, avrebbero gravitato sodali, finiti nell’inchiesta e nel giudizio. Dodici anni sono stati imposti a Rosario Cattuto, già condannato per il troncone “Druso”. Il collegio ha disposto la condanna anche per Carmelo Giannone e Angelo Giannone, padre e figlio impegnati nel commercio ittico. In base alle indagini, avrebbero sfruttato la vicinanza di Salvatore Rinzivillo non solo per allargare l’attività in altre province ma anche per riscuotere crediti o pretendere condizioni di favore. Gli inquirenti accertarono che uno dei loro capannoni venne messo a disposizione per una riunione tra esponenti dei clan. Carmelo Giannone è stato condannato a dodici anni di detenzione; Angelo Giannone a sette anni e nove mesi. Ad entrambi sono stati imposti altri quattro mesi, per una delle contestazioni definite con il rito abbreviato, che ha determinato invece l’assoluzione per accuse legate al possesso di armi. Dieci anni e otto mesi sono stati pronunciati per Alfredo Santangelo, imprenditore etneo che avrebbe fatto da tramite economico per i Rinzivillo. Otto anni per Antonio Maranto e sei anni a Giuseppe Rosciglione, che avrebbero dato la loro disponibilità per le messe a posto di operatori del settore ittico, in province dove gli affari dei Rinzivillo, secondo gli inquirenti, si stavano sviluppando. Sei anni e otto mesi sono stati imposti a Francesco Maiale, altro operatore del settore ittico che si sarebbe messo a disposizione. Sette anni di reclusione sono stati decisi per Luigi Rinzivillo, legato a Salvatore Rinzivillo da rapporti di parentela. L’attenzione degli investigatori si concentrò sulla sua sala scommesse, in base alle indagini usata anche per riunioni decise da Salvatore Rinzivillo. Sei anni e otto mesi sono stati pronunciati per Umberto Bongiorno, che attraverso Rinzivillo avrebbe tentato di concretizzare investimenti commerciali nella zona di Roma. Sei anni e otto mesi anche per Vincenzo Mulè, ritenuto molto vicino a Rinzivillo, anche rispetto all’intenzione di riallacciare rapporti negli Stati Uniti. Per le posizioni dei fratelli Antonio Rinzivillo e Crocifisso Rinzivillo, ma anche per quelle di Luigi Rinzivillo, Umberto Bongiorno, Rosario Cattuto, Angelo Giannone e Carmelo Giannone, sono state pronunciate assoluzioni, ma solo per alcune delle accuse che venivano mosse. E’ stato assolto, con tutte le accuse cadute, l’imprenditore Emanuele Catania. Dall’indagine “Extra fines” era emersa una sua possibile contiguità al gruppo dei Rinzivillo e al boss sessantenne. Tra le contestazioni, l’essersi messo a disposizione per un presunto investimento economico in Marocco e gli inquirenti l’hanno considerato come connessione commerciale di Rinzivillo, anche nei rapporti con i palermitani Guttadauro e con i Giannone. L’imprenditore, difeso dall’avvocato Giacomo Ventura, si è sempre detto estraneo ai piani di Rinzivillo, anzi nel corso del tempo ha raccontato di aver più volte subito danneggiamenti e minacce per la messa a posto. Il collegio penale ha pronunciato l’assoluzione, revocando ogni misura restrittiva imposta all’imprenditore, che gestisce un importante gruppo nel commercio ittico su larga scala, anche a livello nazionale. Sono state accolte le richieste del difensore e dissequestrate tutte le sue quote societarie.
Per la posizione dell’imprenditore, c’è stata però l’impugnazione della procura e dovrà sostenere l’appello. Impugnata dai magistrati anche la decisione favorevole emessa nei confronti di Giuseppe Licata, titolare di aziende nel settore dell’autotrasporto e dei mezzi da lavoro. Il collegio penale del tribunale di Gela, nelle motivazioni depositate al termine del complesso giudizio di primo grado, ha analizzato tutti gli elementi forniti dall’accusa, in aula sostenuta dal pm dell’antimafia Luigi Leghissa. I difensori hanno presentato ricorsi contro le condanne e chiederanno ai giudici nisseni di emettere decisioni favorevoli. Tra i legali di difesa, che si sono rivolti alla Corte d’appello, ci sono gli avvocati Flavio Sinatra, Riccardo Balsamo e Boris Pastorello.