Gela. Non c’è stata pioggia né cielo grigio che potessero fermare chi, nella giornata di oggi, ha voluto dare un sentito “bentornato a casa” a Biagio, il cane di quartiere che in vita aveva fatto della Villetta Auriga il suo rifugio e il suo regno. Una cinquantina di persone si è radunata, munita di ombrelli e abbracci, attorno alla statua che ora ricorda il randagio: il simbolo silenzioso di un’umanità ritrovata. Tra loro anche il sindaco, Terenziano Di Stefano, accorso per rendere omaggio a quell’animale che la città aveva imparato ad amare e rispettare. E la pioggia battente alla fine è stata utile soprattutto per nascondere qualche lacrima.
Biagio non c’è più da un po’; si è addormentato per sempre in un giorno di febbraio, quando il peso della malattia, un tumore ai polmoni, ha imposto l’eutanasia come ultimo atto d’amore. Ma il ricordo di quel cane, delle sue orecchie smozzicate e del suo sguardo saggio e diffidente, è diventato eterno, immortalato nella statua scolpita dallo scultore siciliano Leonardo Cumbo, che adesso si erge all’ingresso della Villetta Auriga, quel parco che Biagio aveva eletto a sua casa. Un piccolo angolo di libertà per lui e un monumento per tutti.
L’iniziativa è dell’associazione Vita Randagia Onlus, che ha voluto trasformare la storia di Biagio in un messaggio: un invito a guardare quei cani di strada con occhi diversi, a riconoscerne la dignità. “Questo monumento è per Biagio e per tutti quelli che vivono emarginati, nell’indifferenza e nella solitudine,” ha dichiarato la presidente dell’associazione, Giulia Cassaro. “È un messaggio per grandi e piccoli, affinché comprendano che anche un semplice gesto può cambiare la vita di qualcuno.”
Biagio era un randagio, uno di quelli che, per non soccombere, si confonde nel paesaggio. Per anni aveva evitato gli esseri umani, temendo i pericoli della strada. La vita gli aveva insegnato a farsi invisibile, a stare in disparte. Ma negli ultimi mesi, quando la malattia si è fatta più grave, qualcosa è cambiato. Le volontarie, con pazienza e amore, hanno saputo rompere quel guscio di diffidenza, prendendosi cura di lui e portandogli quell’affetto che fino ad allora gli era sconosciuto.
E così, nell’ultimo capitolo della sua vita, Biagio ha conosciuto l’amore umano. Ha trovato il conforto di mani gentili, l’abbraccio di chi non si è voltato dall’altra parte, regalandogli una dignitosa fine. “Si è addormentato dolcemente, consapevole che non soffriva più e che attorno a lui c’era amore,” ha detto Giulia Cassaro, con la voce rotta dall’emozione.
E il monumento in suo onore rappresenta proprio questo, uno schiaffo in faccia all’indifferenza e alla solitudine, che possono essere sconfitte anche solo da un piccolo gesto.
Oggi le sue ceneri riposano alla base del monumento, protette da una piccola teca, come a ricordare che Biagio, finalmente, è tornato a casa. E sulla base della statua, incisa su una targa, la sua storia: affinché chiunque si fermi possa leggere e ricordare. Perché la lezione di Biagio è semplice e grande al tempo stesso. Non sono i gesti eroici o le imprese epiche a rendere il mondo migliore, ma i piccoli atti di gentilezza, quelli capaci di far fiorire un’anima anche quando sembra persa.
Biagio è rimasto un randagio per tutta la vita, ma oggi è diventato un simbolo. E nel cuore di chi lo ha conosciuto e amato, continua a vivere: un ricordo, un insegnamento, una promessa di non dimenticare chi vive in silenzio, nell’ombra, aspettando solo di essere visto e accettato.