Azzurra, volontaria in un campo profughi per bambini: storia di un premio all’amore

 
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Gela. Ha scelto di vivere accanto a bambini in un campo profughi di Debrecen, in Ungheria. Sono vittime innocenti delle guerre, orfani di genitori uccisi, spariti, annientati dalle bombe.

Aspettano di trovare nuove famiglie. Azzurra Cascino è gelese. Il diploma di laurea in Mediazione Culturale e un’esperienza forte, vissuta con semplicità. Vive ad Udine e lo scorso anno vi abbiamo raccontato del suo viaggio di due mesi a Debrecen, a contatto con quei bambini. Un articolo che ha fatto il giro del web ed è finito sotto gli occhi del Console italiano a Budapest e dell’Ambasciata italiana di Budapest. Azzurra è stata chiamata a raccontare quella esperienza nel campo profughi in un convegno internazionale in Ambasciata a Budapest sull’accoglienza dei migranti in Europa, gli sbarchi, Mare Nostrum, Frontex e Triton

Ha deciso di partecipare al concorso “Raccontaestero”, promosso dall’Irse, ovvero dall’istituto regionale degli Studi Europei del Friuli Venezia Giulia, da anni attivo nell’informare e promuovere esperienze di studio, lavoro, soggiorno all’estero. E quel racconto di 3000 battute si è aggiudicato il primo premio. Sabato scorso la cerimonia di premiazione a Pordedone. Azzurra ha rivissuto quei 60 giorni a Debrecen, dove un mattoncino del Lego diventa oggetto prezioso per dimenticare la guerra ed un futuro da definire.
Il premio non è in denaro. Sono buoni-viaggio per ulteriori esperienze e nella pubblicazione in cartaceo e on-line dei racconti vincitori. Ed Azzurra è pronta a partire per una nuova esperienza all’estero. Accanto a chi soffre. Per regalare loro un sorriso e stargli semplicemente accanto. Altro che selfie…

Il testo

Speranze fatte di Lego

Televisione, web, stampa… si parla tanto e tutti i giorni di immigrazione, di stranieri, di sbarchi, di rifugiati politici. Si leggono tante storie e tra queste ci sono anche quelle di molti bambini, specialmente in Sicilia, la regione da cui io provengo e in cui ho svolto attività di volontariato proprio durante gli sbarchi sulle coste vicino casa, perché sentivo che davanti un’emergenza del genere non potevo girarmi dall’altra parte, dovevo far qualcosa, rendermi utile.

Ma non mi bastava, volevo capire davvero cosa significasse essere un rifugiato, come si vivesse nei centri d’accoglienza. E così ho deciso di cercare le mie risposte vivendo come una di loro, da rifugiata con i rifugiati. L’estate scorsa sono partita per l’Ungheria, verso la periferia di Debrecen, una cittadina al confine con la Romania e ho chiesto di vivere per un paio di mesi in quel quadrato, circondato da mura e filo spinato, svolgendo anche lì attività di volontariato.

E ho soprattutto conosciuto la quotidianità di tanti bambini, costretti anche loro a vivere in una di quelle “zone limbo” che li ospita mentre attendono che il loro destino sia deciso: un documento o un rimpatrio. Ho capito che non importa da quale parte del mondo provengano, le risate dei bambini hanno un suono universale. Si può sperare che siano felici ogni giorno, ma si può anche realizzare proprio grazie al volontariato, far in modo che anche quei bambini abbiano il diritto di giocare, come gli altri.

Per esempio con quei Lego, donati al centro d’accoglienza da un bambino ormai cresciuto a cui non servono più, proprio come i vestiti che indossano. LEGO, mattoncini di plastica colorata che attiravano subito la loro attenzione, nonostante non sapessero cosa fossero. Bastava mostrare loro quanto fosse divertente incastrare quei mattoncini uno sopra l’altro per ottenere la magia di un timido sorriso.

Mentre mi trovavo lì, mi auguravo ogni giorno che quando sarei ripartita, questi bambini avrebbero sempre trovato qualcun altro che, prendendoli per mano, li avrebbe trattati con dolcezza e spiegato loro come si costruisce una torre o un robot e persino come far la pace con un altro bambino dopo essersi picchiati, proprio per colpa di un mattoncino Lego rubato.

Mentre giochiamo, Ridran mi parla del Kosovo come se raccontasse una favola, la descrive come una terra lontana, piena di hamburger. Chissà quale ricordo sbiadito di bambino gli porti alla mente degli hamburger!

Needa sa di essere palestinese ma quando le chiedo cosa sia la Palestina, mi guarda perplessa e non sa rispondere. E Sally dorme per terra tutte le notti e mentre abbraccia il suo gattino, mi confida che sa di avere una mamma, ma si trova in Siria. Un micromondo in cui le loro identità si mescolano e provano ad incastrarsi con la realtà europea che li ospita, ma non sempre ne hanno la possibilità.

No, non è semplice come incastrare dei mattoncini Lego.

Azzurra Cascino

 

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