Gela. E’ durato per diverse ore, questa mattina davanti al collegio penale del tribunale, l’esame di uno dei carabinieri che coordinò l’indagine “Revenge”. Gli investigatori risalirono ad uno scontro armato tra due gruppi familiari. Ci furono feriti, a causa di colpi di arma da fuoco. Sono a processo, Rosario Trubia, Giuseppe Trubia, Vincenzo Trubia, Antonino Raitano, Ruben Raitano, Giacomo Tumminelli, Marco Ferrigno e Giovanni Simone Alario. In base a quanto riferito in aula dal testimone, che ha risposto alle domande del pm Mario Calabrese e dei difensori degli imputati, la tensione iniziò a concretizzarsi rispetto al possesso di uno scooter, rivendicato dai due gruppi. Successivamente, ci fu una rapina per portare via una bici elettrica in uso ai Trubia. In questo caso, ad agire sarebbero stati i Raitano. Si tentò un chiarimento subito dopo quest’ultimo fatto, “già la sera stessa”, ha detto il carabiniere. Però, spuntò una pistola. Vincenzo Trubia venne raggiunto da un colpo al piede mentre sarebbe stato il figlio Rosario Trubia a strappare l’arma ai Raitano e a fare fuoco, ferendo gravemente Antonino Raitano. La pistola sarebbe poi stata nascosta in una baracca in contrada Fiaccavento e venne ritrovata dai militari. I fratelli Raitano, pare spalleggiati da un altro coinvolto il quarantenne Giacomo Tumminelli, non avrebbero fatto attendere la loro risposta. Sarebbero stati loro a sparare contro l’ovile dei Trubia, usando un fucile a canne mozze. Per i carabinieri e i pm, avrebbero avuto un’altra pistola, una semiautomatica Beretta. L’accusa più grave, di tentato omicidio, è posta a carico di Rosario Trubia, che fece fuoco contro i fratelli Raitano, secondo gli inquirenti con la volontà di uccidere, anche se nel corso dell’inchiesta il giovane ha escluso di aver sparato per causare la morte dei rivali. Sarebbe stato Antonino Raitano, anche dall’ospedale, a mantenere contatti per cercare di recuperare la pistola.
Un’altra arma a disposizione dei Raitano venne fatta ritrovare in un’abitazione abbandonata, a poca distanza dalla loro, a Settefarine. “Era in una botola e senza la loro confessione – ha spiegato il carabiniere sentito in aula – non l’avremmo mai ritrovata”. Il trentacinquenne Giovanni Simone Alario e il cinquantenne Marco Ferrigno vennero intercettati durante colloqui in ospedale con Antonino Raitano. Avrebbero cercato di recuperare la pistola che era finita ai Trubia. I difensori hanno chiesto di fare chiarezza su aspetti dell’indagine e sulle vicende che si susseguirono nell’arco di pochi giorni, a partire dagli spari con feriti nei pressi dell’abitazione dei Raitano. Gli imputati sono difesi dai legali Davide Limoncello, Filippo Incarbone, Nicoletta Cauchi, Francesco Enia, Lia Comandatore e Floriana Trainito.