Gela. Mancano ormai solo pochi giorni all’evento. Non poteva essere fatta scelta più opportuna per onorare il grande Eschilo e battezzare lo splendido anfiteatro della Villa Greca. L’opera? Il Prometeo, sul cui mito grandi letterati, filosofi, psicanalisti, artisti di ogni genere hanno dato, in oltre duemila anni, la loro interpretazione. La storia è ben nota. Per aver sottratto il fuoco agli dei per donarlo all’uomo, Prometeo, per volere di Zeus, viene condotto ai confini del mondo, dove non potrà vedere figure e sentire suoni umani, per essere legato e inchiodato ad una dura rupe e lì scontare la pena comminatagli dagli immortali. In una solitudine che atterrisce e sgomenta l’anima, sotto un sole cocente, gravato di indicibile sofferenze, in aggiunta allo strazio che ogni giorno un gigantesco avvoltoio gli causa nutrendosi del suo fegato che si rigenera la notte, non c’è niente e nessuno che possa portargli conforto alcuno. L’alba di ogni nuovo giorno non fa che annunciare nuovi dolori, nuove sofferenze, nuova disperazione. E tale situazione è destinata a ripetersi indefinitamente fino a quando non ne decreterà la fine Zeus. Per paura, nessuno degli dei osa contestare la decisione di Zeus. Lo fanno solo le Oceanine che giungono in quel luogo desolato con un cocchio alato, incurante delle conseguenze che ne possono derivare. Ne esce un dialogo memorabile, mediante il quale veniamo a sapere, tra l’altro che, nel riordinare l’Olimpo e il mondo, Zeus aveva progettato di annientare l’intera umanità e di trapiantarne una nuova, secondo i suoi desideri. L’intento (e la colpa) di Prometeo è quello di dare agli uomini l’eguale dignità degli dei. Prometeo sente più acuto il suo dolore perché, e gli suona come una beffa, era stato proprio lui ad ispirare Zeus nella lotta vinta contro Crono per il potere sull’Olimpo. Dunque, Prometeo ruba il fuoco agli dei per donarlo agli uomini (è così che nasce la civiltà). In realtà, prima che Zeus e gli dei ne decretassero la condanna, Prometeo aveva fatto molto di più per gli uomini, a cominciare dal salvataggio della specie umana. Ed è lo stesso Prometeo che fa la lunga elencazione dei doni che ha fatto all’umanità: “Io li formai riflessivi e padroni del loro intelletto; anche prima di me guardavano, ma era un cieco guardare; udivano dei suoni, ma non era vero sentire; prima, la loro vita non era che un oscuro impasto senza progetto; alloggiavano in buchi sottoterra; non sapevano nulla delle stagioni; per loro scoprii il numero, la prima conoscenza, e la scrittura; io insegnai loro l’arte di domare gli animali; fu mia la scoperta di un natante e della vela per consentire loro di solcare i mari; ho ideato tanti congegni per loro, e ora io non trovo una soluzione per porre fine al mio tormento”. Simone Weil parla di Prometeo come di un dio crocifisso per avere amato troppo gli uomini. Benché il vero dramma di Prometeo è che gli viene negata la morte, c’è in lui un nocciolo indistruttibile che lo tiene desto: un segreto che dovrà gelosamente custodire e costituirà il motivo della sua liberazione e la rovinosa e definitiva caduta di Zeus. Prometeo, dunque, è a conoscenza di un segreto che tiene in costernazione Zeus. Prometeo sa che Zeus avrà bisogno di lui e che sarà inflessibile nel tenersi il segreto di cui Zeus vorrebbe sapere il contenuto, ovvero la profezia. Chi e che cosa porterà alla rovina Zeus? Quale Prometeo ci consegnerà il regista Daniele Salvo? Nel corso dei secoli, dal basso medioevo a Camus e Pavese, passando per Boccaccio, Calderon de La Barca, Voltaire, Rousseau, Shafterbury, Goethe, Percy Bysshe Shelley, Schlegel, Herder, Mary Shelley, Marx, Goldberg, Delebecque, Spittler, Gide, Bourges, per citarne solo alcuni, Prometeo viene talora esaltato come il dio-buono, l’eroe della libertà e benefattore dell’umanità, talora demonizzato come colpevole di essere ribelle a Dio e all’ordine costituito, esempio di arroganza e tracotanza, cieco dinanzi ai propri limiti, procacciatore di morte e di distruzione. Daniele Salvo ci consegnerà il Prometeo autentico, solo e semplicemente il Prometeo di Eschilo. Alla domanda “Un regista può reinterpretare, rendere attuale l’opera di un autore del passato? La mia risposta è: “Che vuol dire rendere attuale le opere del passato? Non di rado abbiamo assistito a vere e proprie manipolazioni di quell’eterno che l’autore ha scolpito nella pietra col proprio sangue.
È possibile attualizzare Amleto, Edipo, Tartufe, Sei Personaggi, Prometeo senza pensare di snaturare ciò che Roberto Barbolini ha definito gli archetipi della nostra realtà? Si può attualizzare ciò che è nato per essere eternamente lo stesso? Il regista, che è colui che capta tutte le vibrazioni e le converte in suoni, gesti e atteggiamenti, deve essere solo onesto e tirare fuori dall’opera l’anima dell’autore, esaltarne il genio, pur volendovi imprimere il proprio stile, il proprio talento, il proprio marchio. Ed è proprio questo che fa Daniele Salvo: estrae dal testo i significati manifesti e reconditi, mediante un accurato scavo filologico e psicologico dei personaggi. Allontanarsi da questa linea, potrebbe voler dire correre il rischio di alterare il messaggio dell’autore e di fare dell’opera originaria un’altra cosa. Daniele Salvo conosce profondamente il teatro antico di cui ha realizzato molto apprezzate versioni in tante parti d’Italia ed all’estero, ma noi ricordiamo soprattutto quelle rappresentate nell’imponente teatro greco di Siracusa. Non per nulla l’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa gli ha più volte dato fiducia nell’allestire opere come Edipo a Colono (2009), Aiace (2010), Edipo Re (2013), Coefore-Eumenidi (2014), consentendogli così di portare in scena attori come Giorgio Albertazzi, Ugo Pagliai, Paola Gassman, Piera Degli Esposti, Maurizio Donadoni, Elisabetta Pozzi, Francesco Scianna, Melania Giglio, solo per citarne alcuni. E’ quasi superfluo dire che lo spettacolo Prometheus del prossimo diciotto agosto sarà più che degno e chi ha già visto il suo Dionysus alle Mura timoleontee di appena qualche anno fa, con una partecipazione di pubblico che poche volte si era vista prima, sa di cosa sto parlando. (Personalmente non ho visto Dionysus, e di ciò continuo a rammaricarmi, ma mi si dice che è stato uno spettacolo che ha lasciato il segno). Daniele Salvo era un predestinato. Sin da ragazzo dà prova del suo valore artistico già durante la frequenza della scuola di Luca Ronconi, maestro molto celebrato, col quale muove i primi passi, interpretando ruoli, di certo, di non secondo piano. Poi è un’ascesa continua che gli ha fatto toccare rilevanti altezze artistiche, peraltro ampiamente riconosciute. Da qualche tempo compagno di viaggio di Daniele Salvo è Michele Di Dio, un giovanissimo impresario e produttore teatrale dell’Associazione Culturale Di.De., un uomo divorato dalla passione per il teatro antico che produce e porta nei suggestivi teatri antichi dell’isola, con puntate persino Oltreoceano, dove ha maturato, tra l’altro, fruttuose esperienze artistiche. Edward Gordon Craig ha detto che perché si voglia far teatro non si può spiegare e che forse l’unica spiegazione possibile per chi vuole fare teatro è voler volare. E mi pare che Daniele Salvo, Michele Di Dio e Luigi Greca abbiano ali poderose. Per una felice combinazione, l’azione si svolge con il mare che fa da sfondo, perfetta e prometeica metafora della libertà. Ma ben studiata è stata, invece, l’acustica che consente di portare avanti lo spettacolo senza l’ausilio di microfoni o altro artificio che non sia la semplice voce degli attori. Il criterio seguito nella costruzione dell’anfiteatro della Villa Greca è stato quello di ispirarsi e di competere con quello di Epidauro, nell’Argolide, ritenuto ancora oggi il più perfetto del mondo per bellezza e acustica, nonostante qualche puntualizzazione a seguito di indagini, studi e rilievi effettuati da famose università. Realizzato su progetto dell’architetto Policleto il Giovane nel 350 a.C., la limpidezza dei suoni dell’anfiteatro di Epidauro pare sia dovuta all’utilizzo della pietra arenaria che assorbirebbe le onde a bassa intensità. Della limpidezza e della perfetta diffusione dei suoni dell’anfiteatro della Villa Greca ho già scritto in un mio precedente intervento. Del teatro di Epidauro Henry Miller ha detto: “A Epidauro, nella quiete, nella grande pace che scese su di me, udii battere il cuore del mondo”. Del teatro di Villa Greca, posso dire che, stando solo in quel luogo, ho avuto la percezione di essere pervaso da un forte senso di sacralità che i greci antichi conoscevano molto bene. Sinora ho manifestato qualche certezza, ma ne ho ancora un’altra: all’ora X del 18 agosto prossimo, nell’anfiteatro della Villa Greca, verranno spente le luci e sarà solo magia.