Gela. Confermata la confisca preventiva di un terreno e del cinquanta percento delle quote azionarie di una società edile. La sproporzione tra redditi e beni. Per i giudici della Corte di Cassazione, l’imprenditore quarantacinquenne Giuseppe Trubia, infatti, avrebbe acquisito i beni per il tramite di fondi illeciti, derivanti dalle attività delle famiglie locali di stidda e cosa nostra. I giudici romani non hanno accolto il ricorso presentato dalla difesa dell’imprenditore che contestava quanto stabilito, lo scorso anno, dai giudici della Corte di appello di Caltanissetta. Anche i magistrati nisseni, infatti, collegarono l’acquisizione dei beni ai fondi dei clan. Il verdetto dei giudici romani arriva nonostante la richiesta della procura generale, che invece indicava la necessità dell’annullamento con rinvio del provvedimento d’appello. Trubia e la difesa hanno sempre escluso che ci fosse una sproporzione tra i suoi redditi e i beni acquisiti. Non ci sarebbe stato alcun intervento dei clan nell’appoggiare la sua attività aziendale. “Quindi è sulla base di elementi concreti – si legge nel provvedimento emesso dalla Corte di Cassazione – che la Corte d’appello ha affermato la coincidenza temporale fra mafiosità ed acquisti sospetti rispetto ai quali non vi è prova di utilizzazione di fonti di provenienza lecita. La motivazione, insomma, “esiste” e, con ciò, si esaurisce la possibilità di sindacarla in questa sede per le ragioni dette”. La procura generale, come la difesa dello stesso Trubia, ha invece sottolineato che l’attività dell’imprenditore si era evoluta senza alcuna intermediazione mafiosa, mancando elementi certi circa il collegamento. Non a caso, la difesa ha anche prodotto il verdetto di assoluzione che arrivò nei confronti dell’imprenditore rispetto alla vicenda della gestione della discoteca “Caligola”. Stando alla difesa, inoltre, “Manca, quindi, la prova che il ricorrente avesse gestito appalti pubblici nel periodo rilevante in società con gruppi mafiosi – si legge ancora nelle motivazioni – tenuto conto anche del fatto che il ricorrente stesso aveva denunciato a suo tempo le estorsioni subite proprio da coloro che oggi collaborano con la giustizia. La pericolosità del ricorrente è stata ricollegata alla vicenda per la quale il tribunale, quanto all’intestazione fittizia della discoteca Caligola, aveva ritenuto che non vi fosse prova”. I giudici romani di cassazione, alla fine, hanno comunque giudicato infondato il ricorso, confermando la confisca preventiva dei beni al centro della procedura. “Oltre che dalle dichiarazioni dei collaboratori, l’origine illecita dei beni – scrivono ancora i giudici – risultava dimostrata anche dalla perizia contabile integrativa che, tenuto conto dei redditi della famiglia, dimostrava una sperequazione delle disponibilità economiche note rispetto agli acquisti. Segno evidente che venivano immessi, quantomeno negli anni 2000-2005 capitali di illecita provenienza nel circuito economico dell’attività del Trubia”.