Gela. Cinquanta pagine di ricorso, con le quali la difesa del cinquantaduenne Giuseppe Cinardi cercherà di ribaltare il verdetto di primo grado, con il gup del tribunale che lo ha condannato a quattordici anni e quattro mesi di reclusione, ritenendolo responsabile di aver ucciso il cognato, il trentatreenne Maurizio Peritore. L’appello è stato depositato dal legale dell’imputato, l’avvocato Salvo Macrì. Peritore venne trovato senza vita tra i viali delle palazzine popolari di via Attica. In primo grado, al termine del giudizio abbreviato, la richiesta dei pm della procura era stata ancora più pesante, trenta anni di detenzione. Il gup Paolo Fiore, però, accogliendo in parte le richieste difensive, ha concesso a Cinardi le attenuanti generiche, escludendo la premeditazione. Nel ricorso d’appello, si fa nuovamente leva sulla legittima difesa e sulla dettagliata ricostruzione della colluttazione fatale. Per la vittima non ci fu nulla da fare, troppo profonda la ferita causata dalla coltellata decisiva. Secondo la difesa, Cinardi non avrebbe progettato l’uccisione del cognato, ma quanto accaduto sarebbe stata la conseguenza della violenta lite, durante la quale rimase ferita anche la moglie della vittima. I due, al culmine di rapporti sempre più tesi, si affrontarono tra i viali della zona, dopo che Peritore trovò tutti i pneumatici della propria auto completamente squarciati. Addebitò la colpa al cognato e ne nacque l’ennesimo diverbio, poi sfociato nel sangue. Al termine della requisitoria di primo grado, il pm Luigi Lo Valvo ha confermato invece che l’imputato si sarebbe scagliato contro Peritore per ucciderlo.
Cinardi, così come sostenuto dal suo legale, ha invece spiegato di essersi difeso da una presunta aggressione del trentatreenne, che lo avrebbe colpito per primo. Tutti aspetti che verranno valutati anche in appello. Sia la madre che il fratello di Peritore si sono costituiti parti civili, con gli avvocati Giacomo Ventura e Maria Elena Ventura. Gli è stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni.