Tentato omicidio Borgo Manfria, Cavallo conferma ai giudici: "Ho sparato io, volevo uccidere Palmieri"
E' stato sentito nel corso del giudizio di appello
Gela. Aveva già esposto la sua versione ai magistrati della Dda di Caltanissetta. Il collaboratore di giustizia Giuseppe Cavallo, questa mattina, nel giudizio di appello, ha confermato che a sparare contro Carmelo Palmieri, in contrada Borgo Manfria, fu proprio lui. Voleva ucciderlo perché, a quanto pare, lo riteneva responsabile di diversi furti nella zona e inoltre per i toni usati e le offese rivolte a Orazio Pisano, imputato e già condannato in primo grado per il tentato omicidio, insieme al figlio Giuseppe Pisano. La procura generale, i legali di difesa e le parti civili, hanno posto diverse domande al collaboratore. Dall'inchiesta successiva al ferimento di Palmieri, che riuscì a evitare conseguenze peggiori rifugiandosi in un casolare, non emerse in alcun modo un eventuale ruolo di Cavallo, che invece, diventato collaboratore di giustizia, ha indicato che a organizzare ed eseguire l'azione sarebbe stato proprio lui. Quel giorno, in auto a Borgo Manfria, ci sarebbe stato inoltre Orazio Pisano. In questo modo, viene escluso qualsiasi ruolo per Giuseppe Pisano, che secondo gli investigatori avrebbe fatto fuoco contro Palmieri, usando un fucile. Chi agì, si presentò a volto coperto ma dalle intercettazioni successive al tentato omicidio, furono acquisite conversazioni nelle quali Palmieri ammette di aver riconosciuto Giuseppe Pisano, ritenendolo colui che materialmente sparò. Per le difese, i due Pisano non avrebbero avuto ragioni di pensare a un piano per uccidere Palmieri. Gli inquirenti sono invece certi che si trattasse di una spedizione punitiva, davanti al no dello stesso Palmieri alla messa a posto, che i Pisano avrebbero preteso pure per la raccolta della paglia nelle aree rurali tra Borgo Manfria e Mangiova. Le dichiarazioni di Cavallo possono mutare il quadro generale. Nel corso della prossima udienza, saranno sentiti altri testimoni. Palmieri è parte civile, con il legale Vittorio Giardino. In primo grado, Orazio Pisano fu condannato a undici anni e otto mesi di reclusione; il figlio, Giuseppe Pisano, a undici anni di reclusione. Scelsero il giudizio abbreviato. Condanna anche per il fratello di Orazio Pisano, Emanuele Pisano, a quattro anni e due mesi di reclusione. Difeso dall'avvocato Giovanni Lomonaco (contemporaneamente parte civile), per gli investigatori avrebbe saputo della messa a posto e del controllo imposti nelle aree rurali. Cavallo, nella sua deposizione, ha riferito di non aver avuto rapporti di conoscenza con Emanuele Pisano, il cui caseificio fu danneggiato da un incendio, per l'accusa ordinato dal fratello Orazio Pisano. I Pisano, padre e figlio, sono rappresentati dai difensori Giacomo Ventura, Vincenzo Vitello e Walter Rapisarda.
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