Gela. Gli agenti della squadra mobile di Caltanissetta, nel corso della lunga inchiesta “Stella cadente”, si imbatterono in quello che ritennero un incontro di mafia, a tutti gli effetti. L’ha riferito uno degli investigatori, parlando in aula di contatti e dell’incontro tra Bruno Di Giacomo, considerato reggente della stidda, e Vincenzo Trubia, coinvolto nell’inchiesta “Redivivi” e in quella fase considerato ai vertici di Cosa nostra locale. Non è chiaro però se quel confronto, ritenuto una sorta di summit di mafia, sia servito anche a valutare la spartizione dell’affare della plastica nelle campagne della città. Il poliziotto ha risposto alle domande del pm della Dda Matteo Campagnaro e dei difensori, impegnati nel controesame. Gli stiddari sarebbero stati ben organizzati anche nella gestione di un vasto traffico di droga. Dopo la scarcerazione di Bruno Di Giacomo, a lui, secondo l’esito delle indagini, si sarebbero avvicinati Alessandro Scilio, Vincenzo Di Maggio e Gaetano Marino, tutti coinvolti nell’indagine. Da quanto emerso, per la droga e per le armi c’erano i “covi” di via Dei Mille, via Solferino e via Tucidide. Le piazze di spaccio sarebbero state tra le palazzine di via Licata e a piazza Roma, così hanno riferito i testimoni. Hanno confermato il ruolo di guida del gruppo stiddaro assunto da Bruno Di Giacomo e dal fratello Giovanni Di Giacomo. Nel corso dell’esame, uno degli investigatori ha riferito sulle minacce che sarebbero state subite da due fratelli, che gestivano un bar.
In questo senso, sarebbe emerso il ruolo di Giuseppe Truculento, anche se dell’arma indicata dalle vittime non si è mai trovata traccia. La pistola sarebbe stata usata per minacciarli, dopo il debito contratto con un altro esercente, vicino al gruppo. Sulla posizione dei due, però, sono state sollevate alcune “annotazioni” difensive, anche rispetto al loro coinvolgimento in indagini per truffa e simulazione di reato, scaturite da un incendio appiccato a quanto pare per incassare il premio assicurativo. A rispondere alle accuse, davanti al collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Marica Marino e Francesca Pulvirenti), sono Giovanni Di Giacomo, Salvatore Antonuccio, Samuele Cammalleri, Alessandro Pennata, Vincenzo Di Giacomo, Benito Peritore, Vincenzo Di Maggio, Giuseppe Truculento, Giuseppe Vella, Giuseppe Nastasi e Rocco Di Giacomo. Gli esercenti sottoposti a minacce e ritorsioni sono costituiti in giudizio con gli avvocati Valentina Lo Porto (che rappresenta i titolari di due diverse imprese commerciali) e Alessandra Campailla (che ha avanzato la richiesta per conto di un ambulante). Parte civile, ma solo per alcuni capi di imputazione, è anche uno degli imputati, Rocco Di Giacomo (con l’avvocato Antonio Gagliano). Parti civili sono la Fai e l’associazione antiracket, in aula anche questa mattina c’era il presidente Renzo Caponetti. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Flavio Sinatra, Carmelo Tuccio, Ivan Bellanti, Giovanna Zappulla, Cristina Alfieri, Enrico Aliotta e Antonio Impellizzeri.