Gela. Sono stati tutti rinviati a giudizio, per i fatti dell’inchiesta “Revenge”. I carabinieri ricostruirono un vero e proprio scontro tra due nuclei familiari, che sfociò in ferimenti e intimidazioni, a colpi di arma da fuoco. La procura ha ribadito il coinvolgimento degli imputati e l’ha fatto davanti al gup Roberto Riggio. Il giudice ha disposto il processo, fissato per febbraio del prossimo anno. La decisione riguarda Rosario Trubia, Giuseppe Trubia, Vincenzo Trubia, Antonino Raitano, Ruben Raitano, Giacomo Tumminelli, Marco Ferrigno e Giovanni Simone Alario. I difensori si sono opposti, richiedendo invece il non luogo a procedere. Per gli avvocati Davide Limoncello, Filippo Incarbone, Rosario Prudenti, Nicoletta Cauchi e Francesco Enia, le vicende ricostruite dai pm e dai carabinieri andrebbero contestualizzate, senza ricondurle ad uno scontro aperto. Ci furono diversi episodi, che gli investigatori hanno ricondotto a contrasti maturati tra i coinvolti.
Tutto sarebbe iniziato, in base a quanto riscontrato dagli inquirenti, da alcuni furti. I Raitano e i Trubia si accusarono a vicenda, anche con minacce e ritorsioni, fino alle armi. Una pistola, nella disponibilità di Antonino Raitano e del fratello Ruben Raitano, spuntò durante un primo tentativo di chiarimento. Vincenzo Trubia e i figli Giuseppe Trubia e Rosario Trubia, cercarono di disarmare i rivali. Sarebbe partito un colpo, che raggiunse al piede il quarantasettenne Vincenzo Trubia. Nella concitazione, i Trubia sarebbero riusciti ad impossessarsi della semiautomatica e per gli investigatori sarebbe stato il ventitreenne Rosario Trubia a sparare contro Antonino Raitano. La pistola sarebbe poi stata nascosta nell’ovile della famiglia. I carabinieri, durante le indagini, con intercettazioni, perquisizioni e controlli, riuscirono a ritrovare l’arma. I fratelli Raitano, pare spalleggiati da un altro coinvolto, il trentottenne Giacomo Tumminelli, non avrebbero fatto attendere la loro risposta. Sarebbero stati loro a sparare contro l’ovile dei Trubia, usando un fucile a canne mozze. Per i carabinieri e i pm, avrebbero avuto un’altra pistola, una semiautomatica Beretta. L’accusa più grave, di tentato omicidio, è posta a carico di Rosario Trubia, che fece fuoco contro i fratelli Raitano, secondo gli inquirenti con la volontà di uccidere, anche se nel corso dell’inchiesta il giovane ha escluso di aver sparato per causare la morte dei rivali. Il trentaquattrenne Giovanni Simone Alario e il quarantanovenne Marco Ferrigno, invece, vennero intercettati durante colloqui con Antonino Raitano, in ospedale. Avrebbero cercato di recuperare la pistola che era stata sottratta dai Trubia. Fatti che saranno valutati dal collegio penale del tribunale, in dibattimento.