Gela. Per gli inquirenti, il ferimento di Carmelo Palmieri, raggiunto tre anni fa da colpi di arma da fuoco, sarebbe da inquadrare nel presunto controllo delle aree rurali di contrada Borgo Manfria e Mangiova, imposto da Orazio Pisano e dal figlio Giuseppe Pisano (rappresentati dagli avvocati Giacomo Ventura e Tommaso Vespo), lo scorso anno destinatari di misura di custodia cautelare in carcere, a conclusione di un’inchiesta condotta dai pm della procura e dai carabinieri. L’attività partì proprio dal ferimento di Palmieri. Le indagini sono state chiuse. Secondo gli investigatori, c’era la volontà di ucciderlo. Sarebbe stato Giuseppe Pisano a sparare, con l’assenso del padre Orazio Pisano. Palmieri riuscì però ad evitare conseguenze peggiori, allontanandosi e trovando rifugio in un immobile. Pisano sarebbe arrivato a Borgo Manfria a bordo di una Fiat Grande Punto, condotta da Giuseppe Vaccaro, a sua volta indagato ma non raggiunto da misure. L’inchiesta ha toccato inoltre Emanuele Pisano (fratello di Orazio Pisano), Pericle Ignazio Pisano e Nunzio Cavallo. Nei loro confronti non viene mossa la contestazione di tentato omicidio e non furono sottoposti a misure. La vettura con la quale Pisano e Vaccaro raggiunsero la zona, per gli inquirenti, era stata rubata da Fabio Russello e Vincenzo Alberto Alabiso, ai quali vengono addebitati altri furti. Per loro (difesi dall’avvocato Nicoletta Cauchi), durante la fase delle indagini vennero meno le misure che gli erano state comminate. Sulla base delle risultanze, l’azione che ferì Palmieri sarebbe scattata perché si era rifiutato di pagare per la raccolta della paglia. I Pisano, ritengono gli investigatori, volevano rafforzare una sorta di controllo sull’intera zona rurale.
Chi si muoveva in quell’area pare dovesse passare proprio dai Pisano. Importanti furono le intercettazioni che i carabinieri effettuarono all’ospedale “Sant’Elia” dove era stato ricoverato Palmieri. Nel corso di colloqui, anche con il fratello, delineò lo scenario nel quale sarebbe poi maturata l’azione di Giuseppe Pisano, con il benestare del padre Orazio. Gli inquirenti, inoltre, hanno ricostruito le cause del rogo dell’attività commerciale di Emanuele Pisano (avvenuto l’anno successivo agli spari). Le fiamme danneggiarono un punto vendita di prodotti caseari. L’incendio sarebbe stato appiccato da un minore con l’intervento di Orazio Pisano, che in questo modo avrebbe voluto lanciare un messaggio chiaro al fratello Emanuele, con il quale c’erano state divergenze proprio per il controllo delle attività nella zona di Borgo Manfria. Gli investigatori arrivarono pure a Gerlando Salamone, accusato di aver avuto la disponibilità di armi e munizioni.