Salute e bonifiche, gli studiosi: “Il picco di malati di cancro c’è, la sorveglianza epidemiologica no”

 
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Nardo ha avuto i primi incontro con i funzionari del Comune

Gela. Il picco di mortalità sembra essere stato toccato in questi anni ma non c’è nessun dato scientifico che possa prova il nesso con l’esposizione all’ambiente inquinato. A questa amara conclusione sono giunti medici, ricercatori, specialisti, genetisti che per anni hanno studiato il caso Gela. E sulle bonifiche non c’è alcun riscontro.

Sullo stato di salute della popolazione nei Sin, i siti di interesse nazionale contaminati, il dibattito è stato intenso al teatro Eschilo. Peccato che all’invito del senatore Pietro Lorefice la città non ha risposto. Solo un centinaio scarso di partecipanti malgrado un parterre di grande rispetto.

Sulle bonifiche Pietro Lorefice ha annunciato l’intervento del ministero dell’Ambiente e della Salute.

“Occorre verificare cosa negli anni non è andato. Tante bonifiche sono iniziate ma mai concluse, occorre approfondire nel dettagli sia alla Camera che al Senato, dove sono state attivate procedure congiunte con il conforto del ministero dell’ambiente”.

Fabrizio Nardo, perito del giudice in oltre 60 procedimenti civili e penali presso il tribunale di Gela su tematiche ambientali e sanitari, si è soffermato sulle malformazioni.

“In passato ci siamo occupati di 32 casi di malformazioni neonatali, in 18 c’era la possibilità di correlazione tra inquinamento e patologia. Accertarlo al 100 per cento non è possibile, trattandosi di patologie multifattoriali dove però la componente ambientale gioca un ruolo determinante. L’aumento di casi di cancro? Negli anni 90 moriva a 60 anni, nel 2000 a 50, dopo il 2010 si sente di adolescenti con il cancro, non è la dea bendata che tira le freccettae ma l’esposizione ad agenti inquinanti continui. Per questo servono le bonifiche”.

Sebastiano Bianca è responsabile della Genetica Medica al Garibaldi di Catania. Da oltre 20 anni si occupa di studiare la correlazione ambiente-salute. Il caso Gela lo conosce con cognizione di causa ma il vero problema è l’assenza di un studio di sorveglianza epidemiologica continua.

Ketty Perrotta e Sebastiano Bianca

Gli studi miravano a dosare nel sangue alcuni indicatori. Oggi scopri la presenza di un indicatore che poi dovresti usare in sanità pubblica in prevenzione. Non c’è un ritorno in termini di salute. Manca un costante monitoraggio del territorio, abbiamo singoli studi che hanno identificato per alcuni anni alcuni dati ma non c’è la continuità del dato. E questo lo fa la sanità pubblica ed il registro delle patologie. Il sistema di sorveglianza epidemiologica nazionale non esiste ma solo studi a macchia di leopardo. A Gela ci sono incrementi di patologie tumorali. Questo picco quanto sia scientificamente provabile dovrebbero dircelo gli studi ma il dato manca”.

Al convegno sono intervenuti anche Ketty Perrotta, specialista in Genetica Medica ed Ematologia al Vittorio Emanuele, Roberto Passetto, ricercatore all’istituto Superiore della Sanità, Michele Santoro, altro ricercato del Cnr, Paolo Gervaso dell’Asp, Rosario Caci Primario di Pediatria, Giuseppe Amato capo segreteria del Ministero della Salute.

 

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