Gela. Per i pm della Dda di Caltanissetta, come ribadito anche nel corso del giudizio di primo grado, sarebbe stato un imprenditore “colluso”. Carmelo M., condannato a due anni e otto mesi di reclusione, avrebbe messo a disposizione dei boss il magazzino di uno dei supermercati che in passato gestì in città. Gli allora capi dei clan locali lo avrebbero utilizzato per riunioni, così da non dare troppo nell’occhio. Dopo la condanna, è partito il giudizio di secondo grado, che però deve ancora essere trattato dai magistrati della Corte d’appello di Caltanissetta. Il legale di difesa, l’avvocato Francesco Enia, ha impugnato la condanna. Nel ricorso, ha ribadito che l’ex titolare del supermercato e di società di fornitura all’ingrosso sarebbe invece stato vittima delle famiglie di mafia, che gli avrebbero imposto il pizzo. In molti casi, sarebbe stato costretto a cedere merce, senza alcun corrispettivo in denaro. Le sue attività, alla fine, decise di chiuderle, anche per i danni arrecati dagli estorsori. Tutti elementi che la difesa vuole riproporre davanti ai giudici nisseni. In primo grado, inoltre, venne spiegato che in un diverso procedimento penale, a carico di esponenti dei clan, lo stesso imprenditore venne riconosciuto come vittima delle richieste estorsive avanzate dai gruppi di mafia. Aspetti che dovranno essere valutati dai magistrati nisseni.
In primo grado, la decisione finale del collegio penale del tribunale fu meno pesante rispetto alle richieste dei pm della Dda, che conclusero per la condanna a sei anni e otto mesi di detenzione. Secondo le accuse, avrebbe fatto da tramite con altri esercenti da mettere a posto.