Gela. Il caso dell’imprenditore condannato per vicende connesse all’inchiesta sull’ex banca cooperativa Sofige l’ha portato fino davanti ai giudici della Corte Costituzionale. E’ stato l’avvocato Giacomo Ventura a rivolgersi ai massimi giudici romani, dopo che la nuova legge ribattezzata “spazzacorrotti” ha sbarrato la strada delle misure alternative al carcere, all’imprenditore Emanuele Comandatore. Deve scontare un residuo di pena di sette mesi di reclusione, ma per la “spazzacorrotti” non può chiedere misure diverse dalla reclusione, dato che viene introdotta un’equiparazione ai reati di mafia o di stampo terroristico e con effetto retroattivo, quindi anche se commessi prima dell’entrata in vigore. Incongruenze che hanno portato il suo difensore a sollevare un’eccezione di incostituzionalità, ritenuta “non manifestamente infondata” già dalla Corte d’appello di Caltanissetta, che ha poi trasmesso agli atti alla Corte Costituzionale. I giudici romani, solo qualche settimana fa si sono pronunciati sulla vicenda, intervenendo su altre eccezioni dello stesso tipo, avanzate sempre rispetto alla “spazzacorrotti”. Sono state accolte e la Corte ha depositato le motivazioni, qualche giorno prima dell’udienza fissata per la difesa di Comandatore. Anche il caso dell’imprenditore gelese trova piena conferma in quella pronuncia, come ha spiegato il suo legale. Viene bocciata la retroattività che non gli avrebbe consentito di fare richiesta per scontare la pena residua in regime diverso da quello carcerario.
L’illegittimità costituzionale è stata spiegata dai giudici, puntando sul fatto che la nuova disciplina non possa determinare “una trasformazione della natura della pena e della sua concreta incidenza sulla libertà personale del condannato”. Le questioni sollevate dalla difesa sono state assorbite e Comandatore potrà rivolgersi ai giudici del tribunale di sorveglianza, per chiedere di accedere ad una misura alternativa al carcere. L’ordine di esecuzione era già stato sospeso.