Protesta Missuto, controlli forze dell’ordine: “Rispetto regole ma lo Stato mi dia ciò che è mio”

 
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I controlli di questa mattina

Gela. Ha iniziato lo sciopero della fame, a dieci anni dall’ultima plateale protesta, per riaccendere i riflettori sulla tormentata vicenda delle sue aziende, strette tra mancati pagamenti di amministrazioni pubbliche e il serio rischio di trascinare via anche le disponibilità della famiglia. L’imprenditore Emilio Missuto non intende recedere almeno fino a quando non ci sarà un incontro con le istituzioni del territorio e con il presidente della Repubblica. E’ la priorità dell’iniziativa. Questa mattina, ci sono stati momenti di agitazione. Personale del corpo della polizia municipale e funzionari di polizia hanno effettuato degli accertamenti. A Missuto e ai suoi familiari, che lo sostengono, non è permesso infatti “campeggiare” nell’area del parcheggio adiacente palazzo di giustizia. Lui non si arrende e si è adeguato alle richieste che gli sono pervenute dalle forze dell’ordine, nonostante un primo momento di incomprensione. Questa volta, infatti, si è presentato proprio a bordo di un camper, anche per avere un tetto sopra la testa e riposare la notte. Da quasi vent’anni, Missuto e i familiari attendono la conclusione di un procedimento civile scaturito dal mancato pagamento di lavori. Fatti accaduti in Sardegna e sul tavolo della Corte d’appello sarda. Lo stabilimento di contrada Sabuci non ha avuto buona sorte e da tempo è alla mercé di ladri che hanno portato via quasi tutto e di chi ha fatto accesso solo per danneggiare le apparecchiature necessarie alla produzione di inerti.

“Io voglio rispettare le regole e lo farò anche durante la mia protesta – spiega l’imprenditore – però, è arrivata l’ora che anche lo Stato faccia la sua parte e mi dia quello che mi spetta. Abbiamo lavorato ma non siamo stati pagati. I beni di famiglia sono a rischio e le banche non ci hanno concesso alcuna apertura nonostante negli ultimi anni abbiamo lavorato solo per ripianare la nostra situazione. Abbiamo investito circa nove milioni nello stabilimento di Sabuci e veniamo a sapere di vendite all’asta per circa centocinquantamila euro. Io e la mia famiglia vogliamo solo ciò che ci spetta per il lavoro svolto. Non si possono aspettare venti anni per una pronuncia definitiva né si possono patire danneggiamenti continui, denunciati non meno di centocinquanta volte. Tutto inutile”.

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