Gela. Quattro anni e due mesi di reclusione per un imprenditore agricolo quarantatreenne, finito a processo con l’accusa di violenze ai danni dell’ex moglie ma anche per il possesso di munizioni, di un coltello e per gli investigatori avrebbe avuto a disposizione anche una pistola. Il collegio penale del tribunale si è espresso, a conclusione dell’istruttoria dibattimentale. Per il pm Mario Calabrese, sono emersi tutti gli elementi a carico dell’imputato, attualmente detenuto proprio per questi fatti. Pare che la violenza fosse diventata una costante, soprattutto nella fase del lockdown. Non si sarebbe fermato neanche davanti ai figli. L’ex consorte scelse di denunciare e di allontanarsi dall’abitazione di famiglia, anche per evitare conseguenze ancora più gravi. Il pm ha concluso chiedendo la condanna a cinque anni e tre mesi di detenzione. Dal racconto fatto dagli investigatori, è emerso che fu uno dei figli della coppia, ancora minorenne, a spingere la madre ad abbandonare l’abitazione e ad accettare il trasferimento in una struttura protetta. La polizia si occupò di avviare indagini. Le minacce e i pedinamenti da parte dell’ex proseguirono. I familiari della donna sarebbero stati pesantemente minacciati e pare che in un’occasione il quarantatreenne Giuseppe S. avrebbe usato anche una pistola. La donna vittima delle violenze e i familiari si sono costituiti parti civili. Il collegio penale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Eva Nicastro e Martina Scuderoni), ha riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni, che sarà definito in sede civile. Nel corso del dibattimento, è stato inoltre spiegato che l’imputato avrebbe anche simulato il rapimento di uno dei figli, solo per far ricadere la responsabilità sull’ex consorte, che spesso era costretta a subire trattamenti degradanti. “Veniva trattata come una schiava, anche davanti ai dipendenti del marito”, ha spiegato il legale Salvatore Incardona, che insieme all’avvocato Francesco Incardona ha assistito le parti civili. Attraverso i social, l’imputato non avrebbe risparmiato minacce e pesanti offese anche allo stesso legale della moglie. Un quadro complessivo molto grave, quello definito dalla procura e dalle parti civili, che invece secondo i difensori, gli avvocati Salvatore Manganello e Stefano Catalano, non avrebbe trovato conferma nel corso dell’attività istruttoria.
I difensori hanno messo in discussione diversi punti delle contestazioni, richiamando rapporti conflittuali tra gli ex coniugi, anche rispetto ai figli. Lo stesso imprenditore agricolo ha negato le vessazioni e le minacce, cercando di ridimensionare quanto accaduto. Il collegio penale l’ha riconosciuto colpevole di tutti i capi di imputazione, con la continuazione.