C’è un palco che vaga e chiede di voi in Piazza Umberto, miei cari corridori con in mente solo l’Ars.
Dice di conoscervi e singhiozzando sostiene di esser stato abbandonato. Amato e abbandonato, almeno così dice. Ora, mi pare che questa sia la prima volta, la prima in assoluto, che nessuno di voi rivendichi con orgoglio la paternità di qualcosa, ma il palco piange e chiede di voi e dice di esser figlio vostro. Abbandonato. Ho provato a dirgli che non tutti i padri son bravi padri, ma lui dice che ha ancora addosso i segni delle vostre carezze. Gli ho spiegato anche che avete una paura matta, che non siete pronti ad assumervi questa responsabilità. A quel punto, ha capito, mi ha detto, “avranno ancora bisogno di me?”.
C’è poi la questione “silenzio“ che, unita a quella del palco che vaga in cerca di voi, la dice lunga sull’atmosfera di questa campagna elettorale. Sì, perché questa corsa all’Ars, più che esser caratterizzata da falcate olimpioniche, sembra invece sonnecchiante e addormentata, quasi come sotto l’effetto di Xanax. Ma noi siamo svegli, però. Svegli di stupefacenti emotivi come la lucidità, la connessione tra il vostro apparente silenzio e quel palco abbandonato come un figlio il cui padre ha scelto di non riconoscerlo.
Non siete carichi, miei sonnecchianti corridori olimpionici! Che ne so! Mi immaginavo qualche capriola, qualche carpiato, oppure – perché no – che aveste qualcosa da dirci, non intrisa di buonismo elettorale, come quei mariti fedifraghi che, scoperti dalle mogli, smettono i panni di latin lover incalliti (mentendo, sia chiaro!) e con la testa bassa iniziano a recitare la parte dell’innamorato, per di più sotto l’effetto di incantesimo della strega “Altra”. “Non è colpa mia!”. “E’ stata lei!“. Perché, insomma, pure per voi è un pò sempre colpa degli altri. Di quelli prima di voi che ne so, che poi a volte quelli prima di voi eravate proprio voi. Insomma, io non vi vedo molto carichi. Oppure, che ne so, mi immaginavo che aveste qualcosa da dire, da presentarci, da propinarci o se volete, qualcosa che fosse farcita da una massiccia dose di buonismo elettorale che non vi lascia mai e una spruzzata di zucchero filato che non guasta mai. O ancora, pensavo aveste un progetto ma – badate bene – nulla che avesse a che fare con le solite formulette stantie e riciclate. Invece niente.
Vi incontro e avete tutti la stessa faccia, lo stesso sorrisetto teso che dice di voi più di quanto le parole non dicano. Dice che avete una paura matta di non farcela. E questa è una cosa tenera. Ecco, volevo dirvi che si vede. Esercizio numero 1, inspirate ed espirate, lasciando andare le tossine e quando sorridete badate bene che si alzino gli zigomi. E’ il primo segno per capire se il sorriso è vero o dissimula la nevrosi.