Gela. Il dibattimento è stato aperto, davanti al giudice Miriam D’Amore. L’accusa di omicidio colposo è contestata ad ex manager di società del gruppo Eni. L’indagine, coordinata dai pm della procura, partì dalla morte di un ex operatore, impegnato in raffineria, Salvatore Di Vara. Secondo gli inquirenti, la grave patologia che lo colpì sarebbe da collegare all’esposizione all’amianto. Morì nell’ottobre di sette anni fa, per le conseguenze di un mesotelioma sarcomatoide. Fu alle dipendenze di Enichem-Anic, della Praoil e di Agip Petroli. Dopo il rinvio a giudizio, rispondono alle accuse Antonio Catanzariti (intanto deceduto), Gregorio Mirone, Giancarlo Fastame e Giorgio Clarizia. Il giudice Miriam D’Amore, così come già deciso dal gup in udienza preliminare, non ha ammesso la costituzione di parte civile dell’associazione Ona, della quale fanno parte lavoratori esposti all’amianto. La richiesta di costituzione è stata avanzata dall’avvocato Davide Ancona, che ha concluso per la piena legittimazione alla presenza di Ona nel giudizio. Dal giudice, però, non sono stati individuati i necessari presupposti. Anche i legali degli imputati si sono opposti. Davanti al giudice, sono stati sentiti i consulenti della procura, che hanno risposto alle domande del pm Mario Calabrese. Per i professionisti del collegio, ci sarebbe stato un nesso di causalità tra la morte di Di Vara e l’esposizione alle fibre di amianto. Il controesame delle difese si terrà nel corso della prossima udienza.
Secondo i legali di difesa, non ci sarebbe nessuna connessione tra quanto accaduto e il ruolo ricoperto dagli imputati. Per la procura, in fabbrica non sarebbero state osservate le precauzioni necessarie ad evitare l’esposizione dei lavoratori, a contatto con l’amianto. Di Vara iniziò la sua attività in raffineria negli anni ’70, per concluderla nel 1996. Gli imputati sono difesi dai legali Gualtiero Cataldo, Dario Bolognesi, Pietro Granata, Luca Mirone e Carlo Autru Ryolo.