Gela. Il dibattimento nei loro confronti, davanti ai giudici della Corte d’assise di Caltanissetta, è stato aperto lo scorso giugno. Nicola Liardo, il figlio Giuseppe Liardo e Salvatore Raniolo, rimangono in carcere. Sono accusati dell’omicidio del tassista cinquantaseienne Domenico Sequino, ucciso in pieno centro storico, nel dicembre di cinque anni fa. Sono state pubblicate le motivazioni che hanno indotto i giudici della Corte di Cassazione a respingere i ricorsi delle difese. Avevano impugnato le ordinanze del tribunale della libertà di Caltanissetta, che lo scorso febbraio portarono a respingere le richieste di scarcerazione, per decorrenza dei termini, come già deciso dal gip nisseno. Anche secondo i magistrati di Cassazione, non ci sarebbero stati gli estremi, neanche rispetto ai provvedimenti di custodia cautelare emessi al termine delle indagini. Per i pm della Dda di Caltanissetta e i carabinieri che hanno svolto le indagini, l’ordine di uccidere Sequino sarebbe partito dai Liardo. Raniolo, invece, avrebbe eseguito l’azione di morte, insieme ad un presunto complice, ad oggi non identificato.
I Liardo avrebbero deciso l’omicidio per questioni economiche ma anche perché il tassista si sarebbe messo di traverso, impedendo agli imputati di gestire altri “affari”. I giudici romani hanno ribadito l’assenza dei requisiti per disporre un’eventuale scarcerazione. In dibattimento, i tre accusati dell’omicidio sono difesi dagli avvocati Flavio Sinatra, Giacomo Ventura e Davide Limoncello. I familiari della vittima stanno seguendo il giudizio principale, costituiti parti civili (con l’avvocato Salvo Macrì).