Gela. Non è stato accolto il ricorso, presentato dalla difesa del cinquantaquattrenne Giuseppe Cinardi. In primo e in secondo grado fu condannato a quattordici anni e quattro mesi di reclusione, per l’omicidio del trentatreenne Maurizio Peritore. La vittima riportò ferite profonde, a seguito di più coltellate ricevute. Uno dei fendenti si rivelò fatale, andando a ledere un organo interno. Il trentatreenne morì tra le palazzine popolari di via Attica, al culmine dell’ennesimo diverbio con il cognato, poi arrestato. Cinardi, per il tramite del suo legale di fiducia, l’avvocato Salvo Macrì, ha sempre spiegato di essersi difeso. Sarebbe stato aggredito da Peritore e pare che entrambi fossero armati. Già in primo grado, al termine del giudizio abbreviato, il gup del tribunale di Gela escluse la premeditazione, come chiesto dalla difesa. A Cinardi fu imposta una pena di quattordici anni e quattro mesi di reclusione, mentre l’accusa chiedeva il carcere a vita. In Cassazione, dopo la conferma dei giudici della Corte d’assise d’appello di Caltanissetta, la difesa ha proposto un ampio ricorso, ripercorrendo diversi aspetti giuridici delle contestazioni mosse a Cinardi ma anche delle precedenti decisioni. Il ricorso non è stato accolto e la pena è diventata definitiva. I giudici romani hanno valutato le richieste difensive, ma hanno ritenuto di confermare la sentenza di appello. La difesa, già negli altri gradi di giudizio, aveva sottolineato che anche l’imputato rimase gravemente ferito. Furono sollevate diverse valutazioni sull’effettiva dinamica dei fatti. Cinardi comunque ammise la colluttazione e l’uso del coltello.
Tra i due pare che i rapporti fossero molto tesi. Prima della lite e dei coltelli, sarebbe stato Peritore a chiedere spiegazioni a Cinardi. Lo ritenne responsabile del danneggiamento della sua automobile. Dopo parole pesanti, sembra siano spuntati i coltelli. Anche la moglie di Peritore, presente durante la colluttazione, rimase ferita, ma senza troppe conseguenze. La difesa, nel ricorso, piuttosto ampio, ha toccato diversi punti della decisione di appello. I familiari del trentatreenne ucciso, nel procedimento, sono parti civili, con gli avvocati Giacomo Ventura e Maria Elena Ventura. Gli era già stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni e i legali hanno sempre spiegato che Cinardi agì per uccidere, a seguito di rapporti personali, ormai del tutto compromessi. Le parti civili hanno sostenuto la conferma della condanna di secondo grado.